di
Mario Platero
«L’arte trascende la politica. In Cina non erano contenti del mio libro su Terragni»
NEW YORK – Lo ha detto Donald Trump aprendo ieri la sua orazione funebre per Charlie Kirk: «Siamo in un grande stadio, non un’arena, uno stadio bellissimo che ospita 75.000 persone – e con altre decine di migliaia appena fuori gli spalti, negli spazi per seguirci da vicino. Da qui parte il nostro revival». Allo stadio l’occasione politica è stata importante, anzi epocale: Donald Trump e la destra americana hanno rilanciato l’attenzione politica del Maga, anche in vista delle elezioni di metà mandato che si terranno fa poco più di un anno.
Vien fatto dunque di chiedersi, come si confronta con la sua opera un grande architetto quando il suo lavoro, appunto uno stadio – ideato per ospitare partite di football americano, concerti, eventi artistici o sportivi fuori dalla politica – si trova al centro di un evento effettivamente storico, che assume un profondo significato politico e di mobilitazione politica? Di più come reagisce questo architetto, Peter Eisenman, uno dei più importanti del nostro tempo, da sempre orientato a sinistra e agnostico, quando si accorge che l’opera diventa un mezzo per celebrare e rafforzare un movimento della destra e, mai come ieri, un amplificatore per l’evangelismo cristiano?
Stiamo parlando dello State Farm Stadium di Glendale, in Arizona, dove l’intero schieramento repubblicano, dal Parlamento all’amministrazione tutta fino al Presidente Donal Trump ha celebrato commosso la vita di Charlie Kirk, il giovane profeta della destra Maga, tragicamente ucciso undici giorni fa da Tyler Robinson, un balordo motivato, sembra, da passioni molto personali: il suo amante transgender soffriva per la discriminazione in arrivo da quella destra di cui Kirk, sempre in un dialogo, aperto, pacato, continuo con l’opposizione, difendeva i valori.
Ho girato la domanda sul suo lavoro e sulla sua opera direttamente a Peter Eisenman, 93 anni, lucido come se ne avesse 20. Dopo Yale, oggi continua a insegnare a Cornell e sta per pubblicare un nuovo libro su Leone Alberti, uno dei grandi architetti italiani del 500. Un suo classico fu un libro su un lavoro secondo lui chiave del modernismo, la “Casa del Fascio” del grande architetto italiano, Giuseppe Terragni. Eisenman, un teorico del decostruttivismo, ha rotto fin da giovanissimo con le tradizioni architettoniche della prima metà del secolo scorso. Nel 1969 ha fatto parte del rivoluzionario gruppo dei 5 a New York, con Richard Meier ( suo primo cugino) Michael Graves, Charlie Gwathmey, John Hejduk. Ha intrattenuto un dialogo intenso con il filosofo francese Jacques Derrida. Per qualche decennio si è solo occupato di teoria e di ricerca universitaria, maestro di grandi architetti come Daniel Libeskind, per poi cominciare solo piu’ tardi l’attivita’ professionale diretta, che lo avrebbe portato, ormai avanti negli anni, a grandi soddisfazioni artistiche. Recentemente a Milano, dove ha terminato da poco un progetto residenziale a Piazza Erba e, molto prima, con la “Città Culturale a Santiago de Compostela in Galizia per arrivare o al grande monumento alle vittime dell’Olocausto a Berlino e appunto allo stadio di Glendale, lo stadio della squadra dei Cardinal. È stato il primo ad avere non solo un impianto mobile per chiudere il tetto, ma anche un meccanismo che consentiva la fuoriuscita, montato su rotaie, dell’intero campo di calcio.
Gli chiedo se quando ha progettato e realizzato lo stadio immaginava che avrebbe fatto da megafono a un evento politico della destra conservatrice americana.
«No, guardi, sono molto orgoglioso che per questa commemorazione sia stato scelto lo stadio che ho progettato. Vederlo ieri in diretta televisiva, ripreso dall’alto e di lato, mi lasci dire, bellissimo, colmo di gente, con questa immagine di decine di migliaia di persone raccolte per un evento emotivo, mi ha commosso».
Ma la sua visione politica è diametralmente opposta…
«Per me l’architettura trascende la politica. Le faccio due esempi. Il mio studio sulla Casa del Fascio a Como risale a molti anni fa. Quel progetto è un esempio di bellezza a innovazione architettonica. L’ho studiato in ogni modo, l’ho destrutturato, analizzandone ogni aspetto. Quel mio libro è diventato un classico. Dovevo forse preoccuparmi che si fosse chiamato Casa del Fascio? No. L’arte, come le dicevo, trascende la politica».
Sempre, anche ieri?
«Gliel’ho già detto, soprattutto ieri. Non conoscevo il povero Charlie Kirk, ma so che era aperto al dialogo, che contrariamente a quel che dicono molti suoi nemici fosse una persona civile nel suo dibattere e credo che fosse una persona per bene convinto della sua missione. Non erano idee che coincidevano con le mie, ma questo è irrilevante. Lo hanno ucciso. Un evento violento, traumatico, ingiusto. Ed ecco che questo stadio diventa uno spazio dove simboli, cultura e emozioni possono confluire al di là dell’ordinario».
Lei ha sofferto per repressioni politiche?
«Beh, diciamo che questo mio principio dell’architettura al di sopra della politica non vale per tutti, quando ci fu una mostra viaggiante di quel mio libro su Terragni, fu bloccata in Cina. I cinesi non volevano Terragni o quella che ritenevano fosse architettura fascista. Un esempio contrario? A Santiago de Compostela il mio incarico venne da Manuel Fraga che fu l’ultimo ministro della propaganda fascista di Franco. Poi, nel post Franco, fu presidente della sua regione, la Galizia, sapeva bene chi ero e quali fossero le mie idee, ma mi affidò lo stesso con grande visione e fiducia l’incarico per creare i centri culturali. E abbiamo lavorato benissimo».
Ci racconti dello stadio, come nasce?
«Beh, una storia molto inusuale, particolare. Ricevo una chiamata da Michael Rushman, un avvocato immobiliare che fu alla guida di un progetto nel porto di Boston, con cui avevo lavorato. Mi dice che rappresenta i proprietari degli Arizona Cardinal e che vogliono lanciare una gara alla quale vogliono includere Frank Ghery e un architetto locale. Ha suggerito il mio nome e mi chiede se voglio partecipare, gli dico di sì, che mi interessa».
E poi?
«Mi richiama dicendo che va bene, che andiamo avanti. Mi chiede però se mi intendo di football americano e se conosco i Cardinal, che non vincevano campionati da un bel pezzo. Gli dico di si che sono appassionato e che ho visto giocare i Cardinal, che seguo anche il football universitario e in un lampo di memoria gli dico che mi ricordo quando vinsero un campionato nazionale, nel 1949, l’ultimo che hanno vinto. In uno di quei momenti in cui il cervello funziona mi ricordo persino e glieli snocciolo i nomi di cinque o sei dei grandi giocatori di allora. Resta chiaramente sbalordito. Ringrazia e attacca».
E la gara?
«Questo è il punto. Mi chiama il mattino dopo, mi dice che ha raccontato di questo mio exploit calcistico sui Cardinal ai proprietari che restano a loro volta colpiti e mi vogliono vedere. “Vieni subito a Cincinnati dove ci sarà una partita sarai loro ospite e ti dico subito che vogliono che lo stadio lo faccia tu, niente concorso”. Vado a Cincinnati e incontro Michael Bidwill, c’era ancora suo padre e suo nonno era stato il fondatore della squadra alla fine degli anni Venti. Sono i proprietari da sempre. Mi chiedono che idea avrei».
E lei?
«Beh gli dicono che voglio studiare la natura del Sud Ovest, che vorrei immergere lo stadio in un contesto culturale e naturale locale. Vado in Arizona dove ci sono innumerevoli cactus dappertutto: vedo un Cactus Barrel e capisco che lo stadio sarà ispirato da quella pianta bellissima, rotondeggiante e spinosa. Il resto è storia, abbiamo poi costruito lo stadio più avanzato d’America con tetto mobile ma soprattutto, e questa era una novità assoluta, con il campo mobile che poteva essere ritirato dallo stadio su rotaie!».
So che lei è anche un grande tifoso del calcio! Sa che si dovrà progettare un nuovo stadio a Milano?
«No. Ma è vero conosco bene il calcio italiano. Quando ero lì ho visto innumerevoli partite. Mi ricordo il Bologna di Bulgarelli. Ma oggi sono felice per un’altra cosa: la mia squadra del cuore in Italia, il Como, è in serie A!! Spero che anche questa sia una storia, anzi una promozione, che trascenda la politica».
22 settembre 2025 ( modifica il 22 settembre 2025 | 15:30)
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