di
Marta Serafini

Di qui partivano le incursioni verso il Kursk, poi la ritirata. Ora gli ucraini riconquistano dei villaggi: «Non si fanno più prigionieri»

DALLA NOSTRA INVIATA 
FRONTE DI SUMY – «Cinque giorni di battaglia sono passati come se fossero un secondo. Solo una volta tornato qui al campo ho realizzato cosa avevo fatto». Ex agente di import-export, 36 anni, una moglie e una figlia che lo aspettano a Kiev, nome di battaglia Fox è tra gli incursori del 225esimo battaglione d’assalto separato che hanno riconquistato Kindrativka, villaggio a nord di Sumy, citata dal presidente Zelensky come riprova del fatto che l’offensiva di Mosca su quel fronte è stata respinta.

«Abbiamo scoperto che i russi avevano rubato ai nostri compagni morti i passaparola delle nostre radio e giravano per il villaggio vestiti in borghese. Ma siamo riusciti a scoprirli e li abbiamo uccisi. Ultimamente bisogna stare ancora più attenti perché minano i corpi dei caduti». Ramses alias Roman, 45 anni, di Kharkiv, nei giorni scorsi era al fronte con Fox. Anche lui assalitore del 225esimo, ex carpentiere, a differenza del compagno ha più esperienza e può fare dei paragoni. «Qui è peggio che a Bakhmut. I russi sono più feroci. Sono corpi speciali, addestrati al combattimento corpo a corpo. Ma noi questa volta non abbiamo fatto prigionieri», racconta accarezzando il suo Ak-47 dotato di silenziatore e stabilizzatore. Fox e Roman si riposano ora in un campo base nascosto nella foresta a nord di Sumy. I colpi della battaglia sono vicini, il fronte è a 15 km. In cielo ronzano i droni russi a caccia di obiettivi da colpire. «Sembrano api a caccia di miele, vero? Se li senti nasconditi sotto gli alberi».



















































Il fronte è totalmente cambiato dall’anno scorso, quando le truppe ucraine entravano nel Kursk per poi ripiegare dietro il confine sei mesi dopo. Ora l’obiettivo è impedire ai 60 mila uomini schierati dallo zar di sfondare verso Sumy. Putin lo ripete da mesi: vuole una zona cuscinetto al confine. «Ma dopo la liberazione di Kindrativka e Andriivka sarà più difficile anche perché si sta combattendo ancora a Oleksiivka», profetizza Fox seduto sotto la tenda mimetica. Un altro pugno di case distrutte, che potrebbe cambiare il corso della guerra impendendo alla propaganda del Cremlino di esultare. Ma è abbastanza per proteggere Sumy?

Il comandante Anvar della divisione droni si sta mettendo a tavola per il pranzo. È domenica e ha qualche ora libera. «I russi hanno schierato il Rubicon (un reparto di truppe scelte, ndr) e ci tartassano con i loro Orlan (i droni, ndr)». Quando è iniziata la guerra ha faticato non poco a convincere i suoi superiori che con gli Fpv (i droni più piccoli, ndr) si potevano cambiare le sorti del conflitto. «Tu e i tuoi giocattoli, mi prendevano in giro». Oggi Anvar ha sotto di sé 330 dronisti e, orgoglioso, racconta di come coprano le spalle alla fanteria. «Su questo fronte, solo nel mio settore vedo morire 30-50 russi al giorno. Ma li vedo anche imparare molto velocemente a usare la tecnologia. Inoltre, hanno più uomini di noi quindi è difficile tenere questo ritmo». Arrivato al caffé, si incupisce. «Non mi si venga a parlare di festeggiamenti per Kindrativka, fosse anche solo per rispetto di ogni nostro singolo caduto».

Nel pomeriggio al punto di stabilizzazione dei feriti, le barelle, una volta tanto, non sono sporche di sangue fresco. Oggi nessuno urla di dolore per le amputazioni. Il soldato semplice nome di battaglia Advocate, 25 anni, è rimasto lievemente ustionato dall’esplosione di un Fpv. Lo hanno fasciato e ora se sta tornando al fronte. Ma lo «zuccherino», come viene chiamato l’apparecchio che capta il segnale dei droni, continua a trillare. «Nelle ultime due settimane — spiega il vice comandante del reparto medico Ruslan mentre si fuma una sigaretta — ho visto un aumento delle ferite da droni. Il 60 per cento, ormai. Non bastava l’artiglieria, ora i soldati si devono abituare anche a questo nuovo pericolo. Loro dicono che non ci fanno più caso perché il cervello dell’essere umano si adatta a tutto ma le ferite restano, anche quelle che non si vedono».

Qualche chilometro più a Sud il sole infuoca il cielo sopra le cupole azzurre della cattedrale di Sumy. È stata una buona giornata. Non come sabato quando uno Shahed è piombato in pieno giorno sulla sede dell’amministrazione regionale squarciando il palazzo vicino al fiume dove si va a pagaiare la domenica. La fortezza Sumy resiste. Circondata dalle brigate migliori, protetta dall’intelligence militare e dai check point dell’Sbu, i servizi interni che per paura delle spie ad ogni straniero controllano tutto, contenuto del telefono compreso. Ma il morale non è lo stesso dell’estate scorsa quando i soldati partivano a bordo dei blindati americani per sconfinare in Russia e si beveva e rideva nei ristorantini del centro fino a tardi, mentre le celle si riempivano di prigionieri da scambiare. Ora la città è tutta dei militari. E a Sumy non ride quasi più nessuno.

27 luglio 2025 ( modifica il 27 luglio 2025 | 22:09)