Mentre sempre più paesi europei e occidentali stanno formalizzando il riconoscimento dello stato di Palestina, la sua creazione sembra più lontana e improbabile che mai, a causa soprattutto degli ostacoli creati da Israele e dal suo governo.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu domenica ha detto: «Non ci sarà uno stato palestinese a ovest del [fiume] Giordano», che è dove si trovano sia Israele sia i territori palestinesi. «Per anni ho cercato di prevenire la creazione di questo stato terrorista, affrontando tremende pressioni in Israele e all’estero». In questo modo Netanyahu ha fatto capire – ma non è la prima volta – che quando negli scorsi due decenni ha partecipato a negoziati per la soluzione a due stati tra Israele e Palestina, non aveva davvero l’intenzione di raggiungere un accordo.

Israele sta rendendo impossibile la creazione di uno stato di Palestina tramite l’occupazione militare, la creazione di nuove colonie e la continua suddivisione e partizione dei territori palestinesi. A questo si aggiunge il fatto che, al momento, la leadership palestinese è divisa, debole e priva di credibilità anche tra la propria popolazione.

Dei tre territori che la comunità internazionale riconosce al futuro stato palestinese, la Striscia di Gaza è devastata dalla guerra che Israele porta avanti da quasi due anni, e la sua ricostruzione, alla fine delle ostilità, comporterebbe enormi spese e difficoltà, che metterebbero in crisi anche uno stato stabile e finanziariamente solido. Negli ultimi mesi inoltre Israele ha cominciato le operazioni militari per la conquista della città di Gaza, la più grande e popolosa della Striscia: potrebbe essere l’inizio di un’occupazione militare di lungo periodo di tutta la Striscia.

Il secondo territorio, Gerusalemme Est, è occupato da Israele dal 1967, e oggi vi abitano tanti coloni israeliani quasi quanti sono gli abitanti palestinesi.

Il terzo territorio, quello più ampio e che dovrebbe costituire il nucleo di un futuro stato palestinese, è la Cisgiordania. Qui Israele sta approvando con gran rapidità la costruzione di nuove colonie, ritenute illegali da gran parte della comunità internazionale e anche dalla Corte internazionale di giustizia. La più importante è la colonia E1, annunciata ad agosto, che se costruita dividerebbe a metà la Cisgiordania, rappresentando un enorme ostacolo alla creazione di uno stato palestinese.

Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, uno dei membri più estremisti del governo Netanyahu e colono lui stesso, ha detto esplicitamente che la colonia E1 serve a «seppellire l’idea di uno stato palestinese». Attualmente ci sono circa 700mila coloni israeliani in Cisgiordania, e la loro presenza è uno degli impedimenti più grandi a ogni tentativo di soluzione del conflitto israelo-palestinese.

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Benjamin Netanyahu (a destra) e il segretario di Stato americano Marco Rubio durante una conferenza stampa il 15 settembre 2025 a Gerusalemme

Benjamin Netanyahu (a destra) e il segretario di Stato americano Marco Rubio durante una conferenza stampa il 15 settembre 2025 a Gerusalemme (Nathan Howard/Pool Photo via AP)

Israele potrebbe inoltre ampliare unilateralmente la parte di Cisgiordania sotto il proprio controllo militare. Secondo gli accordi di Oslo del 1993 – che avrebbero dovuto essere temporanei in vista della creazione di uno stato di Palestina – la Cisgiordania è divisa in tre aree: l’area A sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), con il 18 per cento del territorio; l’area B sotto controllo congiunto, con il 22 per cento del territorio; e l’area C sotto il controllo militare israeliano, con il 60 per cento del territorio.

L’ANP è riconosciuta da gran parte della comunità internazionale come il governo legittimo del popolo palestinese, ma è anche un ente malfunzionante e in crisi da tempo. Approfittando di questa debolezza, già da tempo Israele controlla zone molto più ampie di quelle che gli sarebbero state assegnate in Cisgiordania, e opera militarmente anche in aree fuori dalla sua giurisdizione.

Il rischio è che queste aree si amplino ulteriormente. Negli ultimi giorni, in risposta agli annunci di riconoscimento della Palestina da parte dei paesi europei, vari politici estremisti israeliani hanno detto che Israele dovrebbe occupare tutta la Cisgiordania ed eliminare così ogni possibilità di creazione di uno stato palestinese. Itamar Ben-Gvir, ministro della Pubblica Sicurezza e anche lui uno dei più estremi del governo, ha chiesto per esempio di «smantellare completamente» l’Autorità Nazionale Palestinese. Il ministro dell’Economia Nir Barkat, che fa parte del Likud, lo stesso partito di Netanyahu, ha detto che Israele deve «applicare la propria sovranità alla Giudea e alla Samaria»: è il nome biblico con cui gli estremisti ebraici chiamano la Cisgiordania.

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