Roberto Russo è morto a 77 anni, tre anni dopo il suo grande amore, Monica Vitti. Con lui se ne va l’altra metà di una storia unica, iniziata dietro una cinepresa e durata una vita intera.
Roberto Russo aveva appena 25 anni quando incontrò la grande attrice sul set di Teresa la ladra. Lei era la protagonista, già una star, sedici anni più grande di lui, mentre lui era «solo un ciakkista». «Insomma ero un macchinista», raccontò. «Durante quel film, tratto da un libro di Dacia Maraini, io persi completamente la testa. Da quando l’ho vista non ho capito più nulla».
Fu un colpo di fulmine improvviso, che però lo mise a dura prova. «Io ero il ciakkista e lei la star. Lei era fidanzata. Non avevo mai visto una donna di quella intelligenza, di quella simpatia, di quella bellezza. Ma non ce la facevo a vederla e non poterle dire che la amavo. Così abbandonai le riprese». Ma la storia non poteva finire lì: «Dopo qualche giorno mi hanno richiamato per dirmi che volevano tornassi sul set. Ho capito in quel momento, il più bello della mia vita, che era stata Monica a volermi vicino a lei».
Da allora, Roberto non se ne andò più. «La nostra storia, durata quasi mezzo secolo, è stata l’avventura di una simbiosi. Se stavi anche solo cinque minuti con Monica eri fregato, ti ammaliava, prendendoti da ogni parte, non volevi andar via. E io non sono mai andato via. Ti racconto questo», rivelò in un’intervista di Walter Veltroni, «Noi non ci siamo mai lasciati un secondo. Pensa che in cinquant’anni io ho dormito lontano da lei solo una notte, per un premio che dovevo ritirare. Monica ed io non abbiamo mai chiuso occhio quella notte».
Si sposarono nel 2000, dopo quasi tre decenni di fidanzamento. «Io sono ancora innamorato come un pazzo», disse lui anni dopo.
La malattia di Monica Vitti non cambiò questa simbiosi. Anzi, la rese ancora più profonda. L’attrice era colpita da una malattia degenerativa, la demenza a corpi di Lewy. Roberto non la lasciò mai sola: «Per venti anni. Venti anni qui con lei. Per non farla mai stare sola, per non farle mai mancare nulla. Venti anni senza mai uscire di casa se non per la spesa o per fare due passi qui intorno. Ho difeso Monica, il suo desiderio di riservatezza fino alla fine, ho cercato di farla ridere quando poteva, e di tenerle sempre la mano. E lo rifarei, rifarei ogni giorno di questi venti anni che non separo dagli altri trenta. Sono stati tutti meravigliosi, perché sono stati tutti con lei».
Monica, dal canto suo, aveva trovato un modo tenero per chiamarlo: «Papà», e così ironizzava sulla loro differenza d’età. E prima di ritirarsi nel silenzio imposto dalla malattia, gli aveva lasciato un ultimo messaggio, scritto sul computer: «Amore mio grande, amore mio bello, amore amore amore, come è bello vivere con te, lavorare con te, litigare con te, fare pace con te, costruire con te, aver paura e piangere e ridere. Niente è bello senza te».