Detto, fatto: dopo gli annunci degli scorsi giorni, l’amministrazione statunitense ha ufficialmente sposato la tesi che vede nell’utilizzo del paracetamolo in gravidanza una delle principali cause dell’autismo. La Food and Drugs Adrministration ha confermato che presto il possibile legame con lo sviluppo di disturbi dello spettro autistico sarà riportato chiaramente sui bugiardini dei medicinali. E Donald Trump ci è andato giù anche più duro: “Non usate il paracetamolo – ha avvertito il presidente Usa nel corso di una conferenza stampa – lottate come matte per non prenderlo”.

A detta del dipartimento della salute statunitense, la decisione sarebbe stata presa in accordo con i risultati delle più recenti ricerche, che porterebbero a sconsigliare l’utilizzo di questo antidolorifico in gravidanza, se non per il trattamento di gravi stati febbrili, e su indicazione del medico. C’è qualcosa di vero? O è solo l’ultima follia dell’attuale amministrazione americana?

Le cause dell’autismo

Moltissime ricerche negli ultimi anni hanno indagato le possibile cause ambientali dell’autismo. Cercando un fattore esterno alla genetica, che possa spiegare l’apparente aumento delle diagnosi di disturbi dello spettro autistico registrato negli ultimi decenni un po’ in tutti i paesi sviluppati. L’esposizione a farmaci e sostanze chimiche durante le fasi cruciali dello sviluppo embrionale è una delle possibilità tirate in ballo più spesso. E tra questi, vaccini e farmaci da banco sono quelli che hanno più probabilità di essere utilizzati dalle madri durante la gestazione, o dai neonati nei primi mesi di vita.

Nonostante gli sforzi del movimento no vax – e con buona pace dell’attuale segretario alla salute americano Robert Kennedy – nessuna ricerca ha mai confermato il legame tra vaccini e autismo. Diverso il discorso per quanto riguarda il paracetamolo: il farmaco, studiato perché considerato l’antidolorifico e antipiretico d’adozione per le donne in gravidanza, è stato infatti effettivamente collegato a un aumento dell’incidenza dei disturbi dello spettro autistico da diverse ricerche. E il possibile legame è stato confermato, di recente, anche da un’ampia revisione sistematica della letteratura scientifica realizzata da un gruppo di ricercatori guidato dall’italiano Andrea Baccarelli, preside e professore di salute ambientale della Harvard T.H. Chan School of Public Health.

Cosa dice lo studio, davvero

La ricerca è una revisione sistematica, cioè una disamina della letteratura scientifica disponibile sul rapporto tra paracetamolo e autismo, che valuta la forza di ogni studio per stabilire in che direzione puntino, e con che livello di affidabilità, i dati oggi disponibili. In totale, le ricerche individuate e analizzate sono state 46, relative a un totale di oltre 100mila partecipanti. E nonostante forti differenze nel design degli studi e nei risultati, a detta degli autori, le evidenze scientifiche attuali supporterebbero un legame causale tra paracetamolo e autismo.

“I nostri risultati mostrano che gli studi di qualità elevata hanno più probabilità di indicare un legame tra l’esposizione prenatale al paracetamolo e un rischio uamentato di autismo e Adhd”, spiegava Diddier Prada, professore di salute ambientale della Icahn School of Medicine del Mount Sinai in un comunicato stampa diffuso ad agosto, in occasione della pubblicazione dello studio sulla rivista Bmc Environmental Health. “E vista l’ampia diffusione di questo medicinale, anche un piccolo aumento del rischio può avere enormi implicazioni in termini di salute pubblica”.

Come interpretare i risultati?

La ricerca guidata da Baccarelli e colleghi è un lavoro serio, e punta ad un possibile legame tra paracetamolo e autismo. Ma è importante capire di che tipo di ricerche stiamo parlando: gli studi epidemiologici in casi del genere sono necessariamente studi osservazionali, in cui si analizza a posteriori la forza statistica del legame tra una variabile e un potenziale esito di salute. Per loro natura, non possono dimostrare l’associazione, ma solo suggerirla: per avere una certezza bisognerebbe effettuare uno studio clinico randomizzato, prendendo migliaia di donne incinte, somministrando il paracetamolo a metà di loro, e contando poi quanti bambini con disturbi dello spettro autistico nascono nell’uno e nell’altro gruppo. Chiaramente non si può fare, e quindi gli studi disponibili, così come le revisioni sistematiche che su di essi si basano, possono solo suggerire quanto sia probabile l’associazione tra paracetamolo e autismo.

A supporto della plausibilità biologica di tale associazione, Baccarelli e colleghi citano il fatto – dimostrato – che il paracetamolo può superare la placenta. E che diverse ricerche di laboratorio rivelano che può indurre stress ossidativo, interferire con l’azione degli ormoni e con lo sviluppo neurale in fase fetale, tutte circostanze che potrebbero spiegare l’aumento di casi di autismo nei bambini che vi sono esposti in fase embrionale. Non solo: il paracetamolo è attualmente l’antidolorifico di prima scelta durante la gravidanza, e proprio nell’ultimo decennio si sarebbe assistito ad un aumento di ben 20 volte delle nuove diagnosi di autismo, coincidenza temporale – a detta dei ricercatori di Harvard – da non sottovalutare.

Cosa fare quindi?

Prima di considerare chiusa la questione, è bene tenere a mente che tutte la revisione sistematica presenta degli importanti limiti. Il principale, che tutte le ricerche analizzate non possono escludere in modo certo che l’associazione emersa tra paracetamolo e autismo sia legata non al medicinale, ma piuttosto alle cause sottostanti che spingono ad assumerlo: potrebbe infatti essere l’infezione o lo stato doloroso che spinge le donne a prendere il paracetamolo a rappresentare un fattore di rischio per il nascituro, possibilità non meno plausibile dal punto di vista biologico.

Un altro aspetto non scontato è che esista un’epidemia di autismo di cui cercare la causa: se l’aumento delle diagnosi negli ultimi 10 anni è infatti certo, che questo rappresenti effettivamente un aumento della diffusione dei problemi del neurosviluppo tra i più giovani lo è molto meno. Diversi esperti e diverse ricerche indicano infatti che la spiegazione più probabile sia un’altra: il cambiamento nei criteri diagnostici avvenuto proprio una decina di anni fa, che riunisce sotto la definizione di disturbi dello spettro una molteplicità di sintomatologie che un tempo non sarebbero state associate con l’autismo, unito all’aumento della consapevolezza che hanno genitori, insegnanti e personale sanitario rispetto a questo genere di problematiche, e che probabilmente aiuta a intercettare moltissimi casi che un tempo sarebbero passati inosservati e non avrebbero mai avuto una diagnosi.

Perché i casi di autismo stanno aumentando 

Non è tutto. Esistono diverse ricerche e revisioni sistematiche, anche recenti (l’ultima è di febbraio di quest’anno), che negano il legame tra paracetamolo in gravidanza e autismo. E anche nelle ricerche in cui il legame emerge, l’aumento del rischio risulta veramente minimo. Alternative al paracetamolo, inoltre, al momento non ci sono: l’altra grande classe di antidolorifici e antipiretici da banco, gli antinfiammatori non steroidei (Fans) come l’ibuprofene, pongono infatti rischi anche più seri per la salute fetale se assunti in gravidanza. Per questo motivo, l’indicazione dei ricercatori di Harvard è quella di ridurre, se possibile, l’utilizzo del paracetamolo quando si è incinte, riservandolo per il trattamento della febbre alta e su consiglio del proprio medico.

Le nuove indicazioni del dipartimento della salute americano vanno in questa direzione. Trump, con la consueta arroganza, è andato oltre, esortando le donne a tenere duro, perché sopportare febbre e dolore senza farmaci non avrebbe effetti collaterali, e avvertendo di somministrare il paracetamolo ai neonati neanche dopo il parto. Entrambe le indicazioni sono scorrette, e pericolose: la febbre alta in gravidanza può porre rischi concreti per il feto, che solo un medico può valutare in rapporto a quelli (ipotetici) posti dal paracetamolo che serve per abbassarla. Stesso discorso vale anche per bambini e neonati, con l’aggiunta che in questo caso non esiste alcuna ricerca che indichi la possibilità che assumere il paracetamolo al termine dello sviluppo fetale incida sul rischio di sviluppare un disturbo del neurosviluppo.

Intanto l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha negato che vi siano nuove prove che richiedano modifiche alle attuali raccomandazioni sull’uso del paracetamolo durante la gravidanza. 

“Le prove disponibili non hanno trovato alcun collegamento tra l’uso di paracetamolo durante la gravidanza e l’autismo”

Agenzia europea per i medicinali

L’EMA ha aggiunto che il paracetamolo può essere utilizzato durante la gravidanza quando necessario, con attenzione a non abusarne, utilizzando una dose efficace e con la frequenza più basse.

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