Per i fan, la notizia ha le dimensioni di una bomba: la creatrice di KPop Demon Hunters, il film-fenomeno su Netflix, ha un personaggio preferito. Si tratta di Mira, e la scelta dice molto: racconta cosa Maggie Kang voleva davvero mettere al centro del racconto; non la perfezione, non i buoni sentimenti, ma una femminilità più spigolosa.

Il film, uscito su Netflix lo scorso giugno, è ormai un evento pop che travalica la semplice dimensione dello streaming: colonna sonora in cima alle classifiche, milioni di stream, merchandising e persino versioni cinematografiche karaoke. Dietro il successo c’è un’idea chiara — trasformare l’estetica K-pop in un dispositivo narrativo — e Maggie Kang l’ha realizzata con rigore estetico e un occhio politico.

Kpop Demon Hunters.

NETFLIX

Dire che Mira è «la preferita» serve a spiegare una scelta stilistica. Non è la leader convenzionale del trio Huntr/x — ruolo affidato a Rumi — ma la figura che spezza i canoni: tomboy nei gesti, tagliente nelle battute, vulnerabile fuori dal palco. Kang l’ha pensata per tenere insieme contraddizioni: chi picchia demoni sul palco può anche avere ferite che non si vedono sotto le luci. Questa ambivalenza è la sua cifra.

Dal punto di vista produttivo K-Pop Demon Hunters è un caso di scuola: Netflix ha finanziato un progetto dalla forte identità coreana, sostenuto da Sony e costruito attorno a un disco di canzoni originali che parlano la lingua del pop contemporaneo. La scelta di puntare su sound producer legati al K-pop e di legare le coreografie alla trama ha trasformato il film in un prodotto che è musical e blockbuster insieme: un ibrido che il pubblico ha premiato. Le trattative per un possibile sequel sono già in corso: segno che l’universo narrativo creato da Kang ha margini per espandersi, scavando magari nelle storie non dette di Zoey o, appunto, di Mira.