di
Giacomo Fasola
Come si spiega che migliaia di persone, a ogni tappa, attendano per ore un evento che si svolge, davanti ai loro occhi, in pochi secondi? La spiegazione ha a che fare con la fatica, la condivisione, il rispetto. E con un fatto anomalo: il tifo «contro», in questo sport, semplicemente non esiste
Chi si interroga sul perché decine di migliaia di persone siano disposte a trascorrere ore a bordo strada, sotto il sole cocente o la pioggia battente, per guardare da vicino un gruppo di atleti che sfrecciano in bici a oltre 50 all’ora, apra la Treccani e la sfogli – metaforicamente – fino alla voce tifare. «Parteggiare con accesa passione per una squadra o per un atleta», c’è scritto. Passione, dunque; non ostilità o rancore.
Al netto degli scandali legati al doping e della tecnologia ormai dilagante, il ciclismo conquista ancora il pubblico perché riesce a incarnare la Passione per lo sport con la «p» maiuscola. Oggi come cent’anni fa, Pogacar e Vingegaard come Coppi e Bartali. Ma prima di esplorarla, questa passione, inquadriamola con qualche numero.
I dati del Tour
Il Tour è, da anni, il maggior evento sportivo per numero di spettatori dal vivo. Pur nella difficoltà di fare delle stime, trattandosi di spettatori non paganti, si considera che la corsa ciclistica francese sia seguita ogni anno da 10-12 milioni di persone. Il record assoluto, circa due milioni di spettatori in una sola tappa, spetta alla partenza del 2014 dallo Yorkshire inglese. Se si parla di montagna, invece, la più seguita di sempre è la cronometro dell’Alpe d’Huez del 2004 vinta da Armstrong (750.000 persone).
A questi vanno aggiunti i circa 3,5 miliardi di telespettatori che in tutto il mondo seguono ogni anno il Tour sullo schermo della tv (in Francia lo share arriva a superare il 50%). E quelli che lo guardano in streaming, questa sì è una novità degli ultimi anni, oppure riguardano sullo schermo del cellulare gli highlights di tappa o gli ultimi chilometri. Una platea sempre più numerosa e sempre più giovane, soprattutto da quando la docuserie di Netflix Tour de France ha «trasformato» il ciclismo in uno spettacolo e i campioni come Evenepoel o Van der Poel in star dal volto umano.
Tifare per
Ok, ma cosa giustifica le attese infinite a bordo strada per un momento che dura, in certi casi, appena un minuto? E che dire dei telespettatori che passano ore davanti allo schermo, aspettando uno scatto come fosse Godot?
Dal punto di vista televisivo il ciclismo dovrebbe essere già morto, e invece i dati dicono tutt’altro. Ha scritto Aldo Grasso, grande esperto di tv appassionatissimo di ciclismo, a proposito dell’ultimo Giro d’Italia: «Potrei dire di aver seguito la corsa come si segue una serie tv (21 puntate, 108 stagioni)».
Partiamo da una considerazione banale ma necessaria: nel ciclismo si tifa per e mai contro. Come ha ricordato Davide Cassani durante una delle ultime telecronache su Rai 2: «Gli spettatori incitano tutti i corridori, dal primo all’ultimo. Si tifa per il campione preferito, mai contro il suo avversario». Dovrebbe essere scontato ma non lo è (chi scrive ha dovuto spiegare al figlio di dieci anni perché, durante uno Juventus-Inter allo Stadium, i tifosi della sua squadra urlavano «devi morire» al portiere avversario).
Dentro quell’incitamento per il nemico-che-non-è-nemico c’è il grande rispetto che si deve a chi sta faticando per scalare la montagna, e prima di quella ne ha scalate altre.
C’è la condivisione, perché lo spettatore si è arrampicato su quella stessa montagna qualche ora prima.
E c’è la gioia di vedere i campioni a 10 centimetri dal proprio naso: sono davvero loro e per una frazione di secondo sono lì davanti a te.
La festa
L’abbiamo scritto poche righe sopra: chi va a tifare, spesso, ha conquistato la cima sui pedali (magari con l’aiuto di un motorino elettrico, perché no). Ci sono gli amatori che percorrono decine di migliaia di chilometri l’anno, ma anche i ciclisti della domenica che arrancano con la bici da città e l’eroico padre di famiglia che trascina il carrellino con dentro il figlio piccolo.
Gli altri, quelli che non hanno affrontato la scalata, hanno conquistato l’agognato posticino sulla curva che offre la visibilità migliore salendo in macchina, o in camper, la sera prima. Hanno cenato, fatto colazione e dormito all’aperto, per dire che un po’ di sacrifici li hanno fatti anche loro.
E poi, una volta giunti a destinazione? A quel punto comincia la festa. Le tappe di montagna del Tour e del Giro somigliano a sagre di paese in cui mangia e si beve insieme, grigliando e stappando birre dalle 10 di mattina fino al passaggio dei corridori. Si organizzano coreografie (quelle del Tour sono impressionanti) e si lasciano messaggi di incitamento sulla strada. Si attende la carovana dell’organizzazione, che precede il gruppo e dispensa omaggi.
La tappa, ovviamente, si segue sin dal primo chilometro: chi è salito in camper si organizza con maxischermi degni dei Mondiali di calcio, chi ha preferito la bici si accontenta del minischermo dello smartphone. Il passaggio dei corridori, insomma, non rappresenta il piatto principale ma il dessert: il coronamento di una bella giornata insieme a tanti altri appassionati (in certe tappe ci si chiede come facciano i corridori a pedalare fra le due ali di folla e uscirne indenni).
Il paradosso
Può sembrare paradossale, visto che parliamo di uno sport diventato ipertecnologico, con atleti che seguono allenamenti studiati al millimetro in laboratorio e pedalano fissando il computerino montato sul manubrio. Ma il segreto del successo del ciclismo – e il Tour de France ne rappresenta la punta di diamante – sta proprio nell’aver saputo conservare, almeno per ciò che riguarda l’esperienza del tifoso, le sue radici.
Ancora Aldo Grasso: «Il Tour de France ti fa tornare bambino, quando seguivamo alla radio la corsa per poi ripetere idealmente la tappa sulla spiaggia, prima con i ‘tollini’, i tappi della gassosa, e poi con le biglie».
La passione, la condivisione, la fatica, il rispetto, l’ammirazione per le imprese dei campioni e l’atmosfera di festa sono ancora gli stessi di una volta. Chi segue le gare a bordo strada li vive in prima persona. Chi le guarda in tv li respira comunque, ammirando – e forse invidiando – quelle decine di migliaia di tifosi chiassosi e colorati, che si sono arrampicati sul ciglio della strada in attesa dei loro idoli.
27 luglio 2025 ( modifica il 27 luglio 2025 | 17:11)
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