La targa che ricorda il sacrificio di Giancarlo Siani

La targa che ricorda il sacrificio di Giancarlo Siani – ANSA

«E io ti seguo… », era la tranquillizzante, ma un po’ scocciata risposta che in tanti davano a Giancarlo Siani. Il giovane giornalista girava, consumava la suola delle scarpe, batteva marciapiedi e periferie, indagava. E, pieno di entusiasmo, raccontava. I colleghi lo invitavano ad andare avanti. «E io ti seguo… », promettevano.

Giancarlo andava avanti, correva e combatteva, come il mehari, il dromedario africano addestrato per correre e combattere. Mehari, il nome dell’auto nella quale la sera del 23 settembre 1985, in piazza Leonardo al Vomero, venne ucciso dai killer della camorra. Perché Giancarlo era andato avanti ma nessuno lo aveva seguito. Tranne i suoi sicari. Solo e indifeso.

«L’assassinio dei giornalisti è un assassinio delle nostre libertà, di una parte di noi a cui la comunità non intende rinunciare», così lo ha voluto ricordare il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Aveva appena 26 anni ed era un “precario”, un “abusivo”, come si dice in gergo giornalistico, collaboratore del Mattino di Napoli.

Ma già giornalista vero, che cerca la verità sulla strada. «Lo animava un forte senso di giustizia sociale che si nutriva di legalità», sono sempre le parole di Mattarella. Ne è esempio il suo ultimo articolo, pubblicato il giorno prima dell’omicidio. Una vera lezione di giornalismo d’inchiesta. Racconta un fatto di piccola cronaca, ma che per lui è occasione per affrontare il dramma dei ragazzi napoletani dei quartieri più difficili. “Mini corriere” della droga per conto della nonna: dodici anni, già coinvolto nel “giro” dell’eroina. Ancora una storia di “muschilli”, i ragazzi utilizzati per consegnare le bustine”. Comincia così il suo racconto. Sembra storia di oggi, di tante nostre periferie. Ma Giancarlo non chiede pene più severe per i minori. Non ha paura di fare nomi. Lo spaccio, scrive, «è diffuso, ramificato, controllato dai grossi clan della camorra».

Denuncia non sterile. Giancarlo la accompagna alla speranza. «L’eroina entra in casa, diventa familiare, anche per i ragazzi. Un fenomeno diffuso contro il quale c’è stata già la ribellione delle madri antidroga dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Lì dove l’eroina ha ucciso, ha distrutto giovani e famiglie. “Basta con la droga” lo hanno gridato nelle piazze, lo ripetono da tempo per ottenere strutture, comunità terapeutiche, un aiuto per liberarsi dalla “piovra”. Come accade ancora oggi con le mamme di Napoli o Palermo. Siani si fa voce di chi non ha voce.

Lui che viene dai quartieri alti di Napoli, dal Vomero, sceglie di sporcarsi nei quartieri più duri della città. Giovane allegro, disponibile, molto attento al disagio, terreno di cultura della camorra. Tutto raccontato dalla strada con fonti dirette. Fanno male gli articoli di Siani, giornalista dalla schiena dritta. Fanno male ai camorristi e ai politici collusi. Giornalista vero, oltre a denunciare cercava di capire. Quanto giornalismo cosiddetto antimafia cerca di capire quello che accade oggi? Racconto di atti giudiziari e non di quello che accade sui territori, di quello che le mafie sono oggi, uguali e diverse.

E la ricerca a tutti costi dello scoop, per essere definito giornalista d’inchiesta. Mentre l’inchiesta è fatica e narrazione. Scoop come ricerca spasmodica dell’apparire, il giornalista che diventa notizia e non che cerca la notizia. Ma non siamo noi la notizia, non è il nostro modo di lavorare, più o meno pericoloso. La notizia è quella che cerchiamo, troviamo, raccontiamo. Non è la nostra faccia in primo piano ma quella di chi vive la sofferenza. Come Giancarlo che parlava diretto, raccontava verità che non potevano e non dovevano essere rivelate. Questa la sua colpa, giovane “abusivo”, giornalista davvero. Ma soprattutto ragazzo solare, pieno di voglia di vivere e di cambiare la sua terra. Quel sorriso che Giancarlo ci lascia. Sta a noi questa volta “seguirlo” davvero.