Da Lisbona a Canberra, passando per Londra e Parigi: «Riconosciamo lo Stato di Palestina» è la frase che le accomuna tutte. L’hanno pronunciata in questi ultimi giorni capi di stato e primi ministri di gran parte del mondo. L’occasione ufficiale è stata il 22 settembre, quando all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il numero degli stati membri che ha riconosciuto lo Stato di Palestina è passato, per ora, a 156 su 193. Un sig nificativo aumento da quando lo Stato venne per la prima volta rivendicato dal leader dell’Olp Yasser Arafat nel 1988 e riconosciuto poco dopo da 80 nazioni. Poche furono quelle europee, seguendo le pressioni di Stati Uniti e Israele.
«Di fronte ai crescenti orrori in Medio Oriente, stiamo agendo per mantenere viva la possibilità di pace e di una soluzione a due Stati. Ciò significa un Israele sicuro e protetto, insieme a uno stato palestinese vitale. Al momento non abbiamo né l’uno né l’altro», ha detto il premier britannico, Keir Starmer. È questo il principio fondamentale su cui si fonda il riconoscimento, la sicurezza di entrambi gli stati.
Un concetto sottolineato anche dal presidente francese Emmanuel Macron, protagonista dell’Assemblea generale del 22 settembre. Macron ha posto come condizione dell’effettivo riconoscimento l’eliminazione dei terroristi di Hamas e la restituzione degli ostaggi israeliani tenuti ancora oggi prigionieri. Quello presentato dalla Francia è stato un progetto ancora più ampio, approvato anche dall’Arabia Saudita, che prevede un’Autorità nazionale palestinese al governo di Gaza, ma riformata ed eletta democraticamente.
I paesi che hanno riconosciuto la Palestina
Nel 2025 a riconoscere lo stato di Palestina sono stati Messico, Australia, Regno Unito, Portogallo, Francia, Principato di Monaco, Lussemburgo, Belgio, Malta, Andorra, San Marino. Prima di loro, il riconoscimento è arrivato da:
Algeria, Bahrein, Indonesia, Iraq, Kuwait, Libia, Malaysia, Mauritania, Marocco, Somalia, Tunisia, Turchia, Yemen, Afghanistan, Bangladesh, Cuba, Giordania, Madagascar, Nicaragua, Pakistan, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Serbia, Zambia, Albania, Brunei, Gibuti, Mauritius, Sudan, Cipro, Repubblica Ceca, Slovacchia, Egitto, Gambia, India, Nigeria, Seychelles, Sri Lanka, Namibia, Russia, Bielorussia, Ucraina, Vietnam, Cina, Burkina Faso, Comore, Guinea, Guinea-Bissau, Cambogia, Mali, Mongolia, Senegal, Ungheria, Capo Verde, Corea del Nord, Niger, Romania, Tanzania, Bulgaria, Maldive, Ghana, Togo, Zimbabwe, Ciad , Laos, Sierra Leone, Uganda, Repubblica del Congo, Angola, Mozambico, Sao Tomé e Principe, Gabon, Oman, Polonia, Repubblica democratica del Congo, Botswana, Nepal, Burundi, Repubblica Centrafricana, Bhutan (1988);
Ruanda, Etiopia, Iran, Benin, Kenya, Guinea Equatoriale, Vanuatu, Filippine (1989); eSwatini (1991); Kazakistan, Azerbaigian, Turkmenistan, Georgia, Bosnia ed Erzegovina (1992); Tagikistan, Uzbekistan, Papa Nuova Guinea (1994); Sudafrica, Kirghizistan (1995); Malawi (1998); Timor Est (2004); Paraguay (2005); Montenegro (2006); Costa Rica, Libano, Costa d’Avorio (2008); Venezuela, Repubblica Dominicana (2009); Brasile, Argentina, Bolivia, Ecuador (2010);
Cile, Guyana, Perù, Suriname, Uruguay, Lesotho, Sudan del sud, Siria, Liberia, El Salvador, Honduras, Saint Vincent e Grenadine, Belize, Dominica, Antigua e Barbuda, Grenada, Islanda, Thailandia (2011); Guatemala, Città del Vaticano, Haiti (2013); Svezia (2014); Saint Lucia (2015); Colombia (2018); Saint Kitts e Nevis (2019); Barbados, Jamaica, Trinidad e Tobago, Bahamas, Irlanda, Norvegia, Spagna, Slovenia, Armenia (2024).
I paesi che non riconoscono la Palestina
Israele e Stati Uniti sono i primi avversari del riconoscimento di uno stato palestinese, a cui fanno seguito alcuni stati europei, tra cui Olanda, Austria, Grecia e soprattutto Germania e l’Italia. La posizione di Roma è rimasta e rimane ancora adesso molto cauta seguendo la linea della soluzione a due stati, fedele alle risoluzioni Onu e agli accordi internazionali vigenti. Il riferimento della presidente del Consiglio Giorgia Meloni è la risoluzione 67/19 dell’Assemblea generale del 2012, con cui la Palestina veniva riconosciuta come stato non membro con status di osservatore permanente, su richiesta l’anno prima del leader dell’Anp, Abu Mazen.
A rispondere, idealmente, a questa posizione, è stata l’Alta rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Kaja Kallas, durante la conferenza stampa al termine della riunione informale dei ministri degli Esteri europei a margine dell’Assemblea Onu: «Se parliamo di una soluzione a due stati, allora devono esserci due stati, ed è per questo che gli stati membri hanno preso provvedimenti per riconoscere» lo Stato palestinese «in modo che ci sia un altro Stato, oltre a Israele».
Cosa cambia effettivamente
Secondo la Convenzione di Montevideo del 1933, uno stato per essere riconosciuto come tale deve rispettare quattro criteri minimi: una popolazione permanente, un territorio definito, un governo e la capacità di intrattenere relazioni con gli altri stati. La Palestina non li soddisfa del tutto dal momento che il territorio riconosciuto a livello internazionale si basa sui confini del 1967 ed è in grande parte controllato da Israele. Il governo riconosciuto poi è quello dell’Anp che controlla però solo una piccola parte di terra.
Riconoscerlo come stato però non è solo un gesto simbolico ma potrebbe avere delle effettive conseguenze politiche e diplomatiche. Innanzitutto, rafforza la legittimità internazionale della Palestina come soggetto sovrano. Sottolinea in maniera forte il diritto di autodeterminazione dei popoli, in questo caso di quello palestinese finora occupato militarmente e amministrativamente. Inoltre, permette l’apertura di ambasciate e consolati palestinesi, oltre che l’invio sul territorio di personale diplomatico.
Israele e Palestina a confronto
Al palazzo di vetro di New York dovrebbe essere presente venerdì il presidente israeliano Benjamin Netanyahu, nonostante un mandato di cattura della Corte penale internazionale pendente su di lui. Presente, ma solo in videoconferenza, anche il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, detto Abu Mazen. La distanza è dovuta al fatto che gli Stati Uniti gli hanno revocato il visto di ingresso. Abbas ha sottolineato che la scelta di molti stati per il riconoscimento «costituisce un passo importante e necessario verso il raggiungimento di una pace giusta e duratura» in conformità con il diritto internazionale.
Netanyahu invece in questi giorni ha ribadito la sua contrarietà al riconoscimento: «Non accadrà, non si realizzerà, non verrà istituito uno Stato palestinese a ovest del fiume Giordano», e ha accusato «quei leader che riconoscono uno Stato palestinese dopo l’orribile massacro del 7 ottobre» di offrire «un’enorme ricompensa al terrorismo». Dello stesso parere è il presidente degli Stati Uniti Donald Trump che continua a sostenere il suo alleato mediorientale. Per Washington il riconoscimento dello Stato di Palestina è «puramente una mossa performativa». Intanto gli insediamenti israeliani in Samaria e Giudea stanno raddoppiando, mentre Tel Aviv continua a radere al suolo la Striscia di Gaza.
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