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L’Italia è tra i Paesi europei con la più alta qualità della produzione scientifica; ancora molto, tuttavia, può e possiamo fare nella valorizzazione e nella capacità di trattenere i talenti. Secondo il Life Sciences Innosystem Index 2025 di The European House – Ambrosetti, il nostro Paese si colloca al decimo posto in Europa per competitività della ricerca nel campo delle scienze della vita, ma solo al diciassettesimo per capitale umano e al sedicesimo per quota di occupati nel settore.

Cervelli in fuga

La difficoltà di trasformare l’eccellenza della produzione scientifica in innovazione e crescita è evidente: la dispersione dei ricercatori all’estero, la frammentazione delle infrastrutture e la carenza di investimenti privati in ricerca e sviluppo sono nodi strutturali che rischiano di rallentare il progresso scientifico e impoverire il Servizio sanitario nazionale. E se è vero che la mobilità internazionale è parte integrante della carriera di ogni ricercatore, è altrettanto vero che quando diventa fuga di cervelli, si traduce in perdita di competenze e rallentamento dell’innovazione. L’Italia è seconda solo alla Germania per numero di vincitori degli ERC Starting Grants, ma molti di questi giovani scienziati lavorano all’estero, soprattutto in Germania, Regno Unito, Paesi Bassi e Francia. Il rischio sistemico è chiaro: senza prospettive di crescita e riconoscimento, il Paese perde talenti preziosi, con ricadute negative sulla competitività e sulla sostenibilità del sistema sanitario.

Il modello Don Gnocchi

In questo scenario, la Fondazione Don Gnocchi – riconosciuta Irccs e da sempre impegnata nella ricerca traslazionale e multidisciplinare – ha scelto di dotarsi di una nuova policy per la crescita e lo sviluppo professionale dei ricercatori, ispirata ai principi della Carta europea dei ricercatori e del Codice di condotta per il reclutamento. Il modello adottato prevede tre nuovi profili professionali e quattro livelli di inquadramento, con criteri oggettivi e trasparenti per l’accesso e la progressione: pubblicazioni, grant, brevetti che definiscono la qualità della ricerca sono i parametri chiave per valorizzare il merito e incentivare la produzione scientifica. Un sistema di premialità, inoltre, riconosce i risultati raggiunti e sostiene la motivazione dei ricercatori, favorendo la cosiddetta brain circulation come alternativa alla brain drain.

La policy introduce tipologie contrattuali flessibili e orientate alla stabilità, promuove l’equilibrio vita-lavoro e garantisce un ambiente stimolante e tutele crescenti. L’obiettivo è duplice: attrarre talenti emergenti e offrire opportunità di sviluppo stabili e durature a chi già opera nella Fondazione. In questo modo, desideriamo proporci come possibile modello, con la speranza di innescare un effetto domino verso una cultura del riconoscimento e della valorizzazione del capitale umano nella scienza.

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Costruire il futuro

Il valore della ricerca non si misura solo in termini di produzione scientifica, ma anche nella capacità di visione, cura e costruzione del futuro. Investire nei nostri ricercatori significa investire nella salute, nell’innovazione e nella crescita del Paese. È tempo di riconoscere il ruolo strategico della ricerca e scegliere di investirvi con decisione. Solo così potremo trasformare le nostre eccellenze in un vantaggio competitivo duraturo, a beneficio di tutta la società.