Presentato nell’Aula magna dell’Università Lumsa di Roma il volume del giurista uruguayano sui cinquant’anni di servizio accanto a cinque Pontefici, a partire da san Paolo VI. Il cardinale Ouellet: ha combinato analisi geopolitica e “sogni profetici”. Riccardi: ha sempre creduto in una Chiesa più “trasparente”. Monsignor Fazio: non è stato uno “yes man” ma ha espresso con franchezza il suo pensiero

Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano

“Mezzo secolo di vita vaticana”, di testimonianza attraverso “uno sguardo particolare”, quello del cattolicesimo radicato nell’America Latina. Un servizio prestato attraverso una sapiente “combinazione di analisi geopolitica e di sogni profetici capaci di entusiasmare”, ma anche con “coraggio”. Senza mai arrendersi all’idea che non si possa costruire “un mondo migliore, una Chiesa più trasparente. Un laico che ha saputo stare “al mondo”, mai uno “yes man” e quindi sempre pronto ad affermare “con franchezza e trasparenza le cose che pensava”. Sono questi alcuni dei temi affrontati nel volume Il Testimone. Mezzo secolo di un laico nelle stanze vaticane, edito da Edizioni Cantagalli, in cui il giurista uruguayano Guzmán Miguel Carriquiry Lecour, nato nella capitale Montevideo il 20 aprile 1944, fino al marzo scorso ambasciatore dell’Uruguay presso la Santa Sede, ripercorre la memoria del proprio servizio in Vaticano al fianco di cinque Pontefici, da san Paolo VI a Francesco, dal 1971 al 2019. La presentazione del libro, svoltasi oggi, 24 settembre, nell’Aula magna dell’Università Lumsa, è stata introdotta dal rettore dell’ateneo, il professore Francesco Bonini, e moderata da Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione. È intervenuto il cardinale Marc Ouellet, prefetto emerito del Dicastero per i Vescovi e presidente emerito della Pontificia Commissione per l’America Latina, di cui Carriquiry è stato segretario su nomina di Benedetto XVI. Tra i relatori, poi, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e monsignor Mariano Fazio, vicario ausiliare dell’Opus Dei.

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Uno “sguardo particolare” dall’America Latina

“Noi che ci siamo formati sotto Paolo VI sappiamo cosa significhi essere testimoni: il maestro è testimone”, ha affermato Bonini nel suo saluto iniziale. Tornielli, dal canto suo, ha sottolineato come nella pubblicazione si respiri “quasi mezzo secolo di vita vaticana”, insistendo sull’autenticità delle attestazioni di Carriquiry Lecour. Uno sguardo particolare, quello del “cattolicesimo dell’America Latina”, che attraverso le relazioni intessute negli anni ha visto passare numerosi uomini di Curia, ma anche futuri Pontefici: gli allora cardinali Joseph Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio.

La copertina del libro

La copertina del libro

Ouellet: la parola “libera” di un laico

Il cardinale Ouellet ha ricordato la collaborazione con Carriquiry Lecour al servizio della Pontificia Commissione per l’America Latina, della quale il giurista fu nominato segretario il 14 maggio 2011. Dietro le “memorie” contenute nel volume, ha osservato, emergono anche le “convinzioni” personali e il racconto di una famiglia “benedetta e unita”, orgogliosa delle proprie radici e grata per l’accoglienza “ricevuta dal popolo italiano”. Cinquant’anni di servizio in Vaticano – che includono anche la nomina, il 12 settembre 1991, a sotto-segretario del Pontificio Consiglio per i Laici – hanno incoraggiato Carriquiry a guardare la realtà curiale con “una buona combinazione di analisi geopolitica e di sogni profetici capaci di entusiasmare”. Ouellet ha inoltre ricordato la celebrazione delle nozze d’oro con la moglie Lídice, avvenuta alla presenza di Papa Francesco.

Il porporato ha definito il libro un’analisi “benevola, a volte critica” degli ultimi decenni della Curia romana, capace di mettere in luce i punti in comune tra gli ultimi Pontefici. Tra le questioni evidenziate, ha sottolineato quella “dell’equilibrio ancora da raggiungere nei rapporti tra la dimensione gerarchica e quella carismatica della Chiesa”: quest’ultima, ha ribadito, non deve “chiudersi in sé stessa”, e perdere la sua vocazione, che è quella di non “far venir meno la fraternità, coinvolgendo tutti nella lotta per la giustizia e la pace”. Il Testimone, ha concluso Ouellet, è anche una “provocazione”, la parola “libera” di un laico che “prega, pensa e condivide la sua passione per Cristo e per la Chiesa, nonché la sua visione di riforma”. Libera al punto, come raccontato da Tornielli citando un aneddoto contenuto nel libro, da esortare a riscrivere il discorso che Benedetto XVI avrebbe dovuto pronunciare durante il Viaggio Apostolico in Brasile, del 2007, in occasione della Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi.

Riccardi: abbiamo bisogno di “laici che sanno stare nel mondo”

“Hai avuto molto coraggio”, ha confidato Riccardi a Carriquiry Lecour, presente in prima fila nell’Aula magna dell’ateneo. “Ha raccontato i suoi mondi”, ha aggiunto, sottolineando la capacità del giurista di integrarsi nella società italiana. Nelle pagine compare anche un riferimento alle Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij: “Nei ricordi di ogni uomo” ci sono tante cose, alcune “che l’uomo ha paura di svelare perfino a sé stesso, e ogni uomo perbene accumula parecchie cose del genere”. Il libro non appare mai, tuttavia, “censurato”, poiché contiene osservazioni e persino qualche critica.

Carriquiry, nel corso della sua esperienza in Vaticano, “non ha mai rinunciato all’idea che si può costruire un mondo migliore, una Chiesa più trasparente”. Un ideale perseguito con “pazienza”, ma anche con “insofferenza”. Una vita segnata anche dal pontificato di Giovanni Paolo II, benché il nome di uno dei figli, Juan Pablo, non sia in realtà un tributo al Pontefice polacco — come molti hanno creduto — per motivi temporali. Ma anche dal rapporto con Papa Francesco. “Primo bergogliano a Roma”, era stata la dedica fatta da Riccardi al giurista. Carriquiry sapeva, infatti, offrire “un’idea molto giusta delle idee di Bergoglio”, in particolare quella della “Chiesa dei poveri”. Un legame amichevole e profondo, quello tra i due, fatto di “dialogo quotidiano”. “Abbiamo bisogno di laici che sanno stare nel mondo. E io, leggendo questo libro, voglio rendere atto di tutto questo a Guzmán”, ha concluso Riccardi.

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Fazio: non è stato uno yes man

Il vicario generale dell’Opus Dei ha evocato due principi che, a suo avviso, avvicinano il volume alla Divina Commedia. Se l’opera di Dante trova ispirazione nella figura di Beatrice, infatti, “è commovente notare come in ogni pagina trovi spazio Lídice”. Il secondo principio è l’amore del giurista, al pari dell’autore fiorentino, “per il Romano Pontefice, per l’istituzione del Pontificato”. E come Dante “manda alcuni Papi all’inferno”, così anche Carriquiry Lecour, pur nella fedeltà, non rinuncia talvolta a osservazioni critiche sulle azioni dei Pontefici. Fazio ha quindi sottolineato la “lealtà” del giurista nei confronti dei suoi superiori: “Non è mai stato uno yes man, ma ha sempre espresso con franchezza e trasparenza ciò che pensava”. Un atteggiamento che ha dato i suoi frutti: non a caso, ha ricordato, il discorso di Benedetto XVI menzionato in precedenza fu “interrotto per 17 volte dagli applausi”.

La vita “spirituale” è stata un altro aspetto curato con attenzione da Carriquiry Lecour, evidente nella sua “preoccupazione per la salute spirituale” dei membri della Curia romana e nella convinzione della necessità di coltivare la loro “dimensione umana”. Infine, con una nota di sorriso, Fazio ha aggiunto: “Se sarete invitati a casa sua, portate sempre qualcosa: non sempre tutti lo facevano, ad esempio, i cardinali Ratzinger e Bergoglio”.

Il saluto dell’autore

Al termine degli interventi ha preso la parola lo stesso Guzmán Carriquiry Lecour, che ha ringraziato i presenti per la partecipazione. “Molte parole generose sul libro e, in eccesso, sulla persona”, ha scherzato, auspicando piuttosto “critiche” costruttive alla sua pubblicazione, capaci di generare riflessioni e azioni concrete. Ha quindi rivolto un pensiero ai cardinali presenti in aula magna — Stella, Santos Abril y Castelló, Coccopalmerio — e ha citato una lettera ricevuta dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, in occasione dell’uscita del volume. “Credo che il servizio al Pontefice si arricchisca esprimendo giudizi, domande, perplessità”, ha affermato, specificando che in questo modo si può davvero progredire. “La mia esperienza esprime innanzitutto la lode e la gratitudine per questo dono”.

Non, dunque, una pubblicazione di autocompiacimento. “Attento, dottore, alla mondanità spirituale”, ha immaginato con un sorriso il pensiero che Papa Francesco “dal cielo” potrebbe riservargli. “Ho combattuto la buona battaglia”, ha affermato citando san Paolo, ricordando gli anni trascorsi nella Curia romana, “dove sovrabbonda la grazia di Dio” ma anche qualche “peccato”, tra cui quello di credersi i “costruttori della Chiesa”, quando invece essa si fonda unicamente su Dio. La bozza del libro, ha infine raccontato, non è purtroppo riuscita a raggiungere Papa Francesco. Con lui, ha ricordato, ci sono stati pranzi e conversazioni “in un clima di profondo affetto. Soprattutto negli anni in cui sopportava le mie critiche. Ma aveva una virtù grande: è sempre stato fedele ai suoi amici”. Il libro è comunque arrivato nelle mani di Papa Leone XIV.