Imprenditore, collaudatore ed ora anche attore. Il 2025 di Andrea Dovizioso si sta rivelando davvero ricco di impegni. Finalmente si è concretizzato il suo sogno, con la realizzazione dello 04 Park, la pista di motocross di Faenza a cui stava lavorando ormai da tantissimo tempo. Nel frattempo però è stato richiamato “in servizio” anche in MotoGP dalla Yamaha, che gli ha affidato il compito di sviluppare la nuova M1 dotata del motore V4 insieme al tester Augusto Fernandez.
In tutto questo, il forlivese ha trovato il tempo per lanciarsi anche in un nuovo progetto, dando vita insieme al regista Luca Curto a “Dovi – La serie”, ad una docu-serie in dieci episodi di cui è protagonista, che ripercorre la sua carriera con una visione un po’ più intima e tanti racconti inediti, con la vita di tutti i giorni allo 04 Park a fare proprio da filo conduttore. In occasione del lancio, avvenuto il 12 settembre su Sky e sull’app Now, dove è possibile vederla on-demand, Dovizioso si è messo a disposizione dei media, tra cui Motorsport.com, per raccontare com’è nata e non solo.
Sei sempre stata una persona abbastanza riservata, che non si è mai mostrata troppo al di fuori delle corse. E’ vero che avevi già fatto un documentario con la Red Bull nel 2019, però cosa ti ha spinto a diventare il vero e proprio protagonista di una serie?
“Diciamo che ho percepito dagli appassionati, ma anche dai giornalisti, negli ultimi 5-6 anni di MotoGP, la voglia di entrare il più possibile dentro le realtà. La MotoGP è sempre stata abbastanza chiusa come diritti, quindi nessuno poteva fare video dentro il paddock o all’ufficio di un pilota, o vedere che cosa fa a casa, cosa che io ho sempre vissuto negli altri sport. Il Motocross, per esempio, è sempre stato così, come altri sport, quindi tu potevi filmare e far vedere tutto senza vincoli, e da appassionato mi è sempre piaciuto, sono sempre stato molto interessato a questo, quindi il documentario Red Bull è stato il primo passo e piano piano questa cosa ha preso sempre più piede. Riuscire a far vedere che cosa fa esattamente un professionista, come vive poi tutte le difficoltà, i momenti belli, i momenti difficili, che cosa fa per cercare di essere competitivo, ho notato che c’era tanto interesse e noi siamo stati tra i primi ad inserirlo nel Motomondiale, che era un mondo abbastanza chiuso. Ancora non è abbastanza, ma si sta aprendo tanto in confronto al passato, quindi piano piano mi sentivo anche a mio agio a raccontare queste cose, perché finché si parla di roba tecnica, personale, ma riferita allo sport, essendo uno attento al dettaglio, mi viene facile raccontarla e ho scoperto tanto interesse, da tutti gli appassionati, dai giornalisti. Secondo me è venuto abbastanza bene il documentario Red Bull e da lì è stato più facile arrivare a questa serie”.
Vedendo le prime puntate, colpisce molto il fatto che già da ragazzino capivi molto della moto, della tecnica, della messa a punto. Qual è il tuo più grande talento che vuoi far emergere da questa serie?
“Come è venuto fuori nella serie, non so dare una motivazione, una spiegazione ben chiara del perché, ma già da piccolo, nei miei primi anni di minimoto, per me era facile riuscire a percepire i due o tre aspetti importanti che potevi gestire con una minimoto. Quindi il rapporto, la frizione, e quando hai otto anni non è scontato, ma questa cosa qui me la sono portata avanti in tutto quello che ho fatto. Sono sempre stato, diciamo, interessato a capire, quindi non so se è più per questo o se è una dote che ho sempre avuto e per me è abbastanza semplice, e poi l’ho ritrovata anche in MotoGP: riuscire a guidare cercando di andare il più forte possibile, ma sentendo tanto la moto, che è una cosa che non trovo in tanti piloti. Trovo tanto talento, tanta velocità, ma magari riescono con più difficoltà a percepire e sentire certi dettagli della moto e di conseguenza riuscire a dare indicazioni agli ingegneri per continuare a sviluppare”.
Digital Lighthouse lancia “Dovi – la serie”
Foto di: Digital Lighthouse Press Office
Come ti sei sentito nei panni dell’attore? Meglio in pista o davanti al ciak?
“Tutto quello che ho fatto fino ad oggi è sempre stato deciso da me, è sempre tutta roba vera e naturale, collegata alla mia passione, allo sport, alla dedizione. Ci sono tutti i momenti difficili e quelli belli, quindi non sono mai stato un attore. Di conseguenza non mi è mai pesato, mi è piaciuto ed è quello che faccio veramente e lo vivo. Come è stato visto nella serie o in altri momenti, sono uno che vive di passione, di realtà, di conseguenza non cerco di modificare o condizionare o migliorare la mia visibilità o raccontare balle per diventare più importante o più bello o più figo. Non dando importanza a queste cose qua, credo che riesco a trasmettere questa cosa e di conseguenza arrivo in maniera naturale. Poi uno può essere più o meno interessato, ma non sono mai stato un attore. Poi la differenza la fa tanto con chi collabori, soprattutto per uno come me che, non essendo un attore, non volendo recitare, non vuole creare delle robe non vere: se la persona davanti a te ti mette a tuo agio viene tutto facile, proprio com’è successo con la serie”.
Rispetto a quando correvi tu, le rivalità sembrano essere cambiate parecchio nella MotoGP di oggi. A cosa è dovuta questa cosa secondo te?
“E’ cambiata abbastanza, perché adesso diciamo che con i social, con questi telefonini, si possono vedere tante più cose, quindi adesso tutti sono diventati molto più diplomatici e cercano di venire fuori più tranquilli a a livello di immagine. Si mascherano un pochettino per cercare di non avere problemi e quindi diciamo che le rivalità pesanti, come ne sono successe abbastanza nella storia della MotoGP, è un po’ difficile trovarle in questo momento. Non che io sia pro, però diciamo che con le telecamere che sono dappertutto, si fanno vedere tante cose: è bello ed è giusto cercare sempre di mostrare di più, però non sono cose vere, non sono momenti veri al 100%, perché lo sai benissimo che c’è sempre una telecamera ovunque e bisogna stare attenti a qualsiasi cosa. Ma anche solo se sei in giro in pista a guardare una gara, le reazioni che hai, magari c’è la telecamera puntata, quindi diciamo che ad oggi sei sempre condizionato nel comportamento e di conseguenza i piloti cercano di avere meno problemi possibili. Quindi questa cosa qui da un lato è migliorata ed è bello riuscire a vedere sempre più momenti, ma di veri ne vedi veramente pochi. Se facciamo un paragone con 15 anni fa, tutti hanno bisogno dei social a livello lavorativo, poi c’è chi li usa anche a livello personale, ma a livello lavorativo tutti chiedono, quindi di conseguenza tutti ci sono adeguati, però diciamo che sui social tutti possono parlare. Sono situazioni pesanti, non sono assolutamente facili da gestire, è abbastanza complicato. Bisogna essere bravi ad avere persone attorno a te che ti fanno comunque rimanere focalizzato, ma poi bisogna essere maturi e capire che cosa guardare, a che cosa dare importanza, perché come sappiamo tutti benissimo si è presa una direzione un po’ complicata da gestire sul discorso social”.
Tu sei stato tre volte vice-campione in MotoGP. Anche i secondi posti possono regalare grandi soddisfazioni ad uno sportivo?
“I secondi posti che ho fatto con la Ducati sono stati una grande soddisfazione. Primo perché arrivavo da momenti difficili, perché gli anni prima sono stati anni tosti, dove prendevamo tantissimi secondi, quindi riuscire a ritornare competitivi e giocarsela con una moto che era da tanti anni che non si giocava al Mondiale è stata una soddisfazione personale importante. Il punto è che dipende sempre contro chi te la giochi: quando c’è un Marc Marquez con HRC, in quegli anni lì erano troppo forti, erano i più forti. Lo sta dimostrando ancora di più quest’anno, che ha cambiato ha cambiato moto, ha cambiato team e vedete che cosa ha fatto: stiamo parlando di 200 punti di distacco dagli altri, da quant’è che non si vedeva una cosa così? Questo dimostra che la sua forza è completa in tutto, di conseguenza bisogna essere obiettivi e riconoscerlo è se uno è forte ed è più completo”.
Digital Lighthouse lancia “Dovi – la serie”
Foto di: Digital Lighthouse Press Office
Ti sarebbe piaciuto guidare la Ducati dominante che c’è oggi in MotoGP?
“Sono momenti diversi da quelli che ho vissuto io. Quando facevamo il podio e vincevamo era una festa vera. Adesso è più una lotta tra le Ducati, è un momento diverso perché piano piano sono riusciti a migliorare su più aspetti e hanno fatto la differenza. Chi si sa gestire meglio, riesce a vincere, ma è una lotta tra le Ducati. Quando io mi giocavo le gare, gli altri piloti Ducati non vincevano o se succedeva, succedeva raramente, quindi è una situazione completamente diversa, ma fa parte dello sport. C’è un momento per tutto”.
Nella serie parli del concetto del cavallino bianco, quello razionale, e del cavallino nero, quello più istintivo. Riguardando adesso la tua carriera, ci sono momenti in cui avresti voluto utilizzare di più quello nero?
“Sicuramente sì, perché comunque la mia caratteristica è di essere tanto razionale, e in questo sport così estremo mi ha portato dei grossissimi vantaggi, ma sicuramente dei limiti in tanti momenti. E’ normale, è inevitabile, in qualsiasi sport non è possibile fare delle robe straordinarie solo con il famoso cavallo bianco, con la razionalità, perché ti limiti: l’essere umano viene impaurito, viene limitato, viene bloccato da certe situazioni. Il cavallo nero va usato spesso, ma io ho sempre fatto tanta fatica per come sono cresciuto, per le mie caratteristiche. Ma il cavallo nero è molto pericoloso, quindi alla fine è un bilanciamento e chi riesce a trovare un bilanciamento migliore riesce a portare a casa di più del proprio potenziale”.
C’è una parte della tua carriera che vorresti rivivere o qualcosa che con il senno di poi rifaresti diversamente?
“Si può sempre fare meglio. Dopo che sono successe alcune cose, soprattutto a distanza di anni, ti dici che facendo qualcosa di diverso sicuramente avresti potuto fare meglio. Sicuramente un po’ ti scoccia, ma non ha senso viverla male, anche se è giusto analizzare le cose per cercare di migliorarsi. Per quanto riguarda quelli più belli, siamo drogati di adrenalina, della possibilità di condividere una vittoria. Andando avanti nella carriera mi dava più gusto condividere una vittoria che vincere in sé. Quando c’è tanta sofferenza poi è ancora più bello ottenere un risultato. Negli anni in cui vincevamo con Ducati, eravamo talmente al limite, c’era talmente tanto sforzo per arrivare al risultato, che non potevi permetterti di fermarti a goderti la vittoria. Nel motorsport è tutto troppo veloce, quindi devi essere sempre sul pezzo, altrimenti la gara dopo la perdi. E’ un peccato, ma non c’è alternativa. Comunque sono stati momenti forti, fortissimi. Ma lo vedo anche dalla gente, perché dalle lotte con Marc sono passati 7-8 anni, ma è come se fossero successe l’altro giorno. Questo vuol dire che hai trasmesso una roba talmente potente che pensano sempre a quel momento lì”.
Andrea Dovizioso, Ducati Team, Marc Marquez, Repsol Honda Team
Foto di: MotoGP
Tornando sul tema del cavallino nero: hai detto di averlo usato troppo poco, ma quando lo hai fatto hai regalato dei duelli bellissimi con Marquez, probabilmente i più iconici dell’ultima decade della MotoGP. Qual è il tuo preferito tra quei duelli?
“Non è descrivibile, perché bisognerebbe viverla da dentro, dai miei occhi, dalla mia altezza. Però diciamo che la seconda sfida in Austria, nel 2019, mi ha dato un gran gusto. Prima di tutto, perché non era una gara che pensavamo di poter vincere, perché Marc ne aveva di più, ma aveva sbagliato gomma, e quando l’aspettativa non è alta, godi ancora di più. Non usando spesso il cavallino nero, difficilmente mi butto in una cosa. Lì non è che mi sono buttato, però la vedevo veramente aperta. La staccata prima mi è venuta veramente bene, talmente perfetta che mi ha creato la situazione per provarci, anche se ancora non vedevo la finestra aperta, perché l’ultima curva non è una vera staccata ed è in discesa, quindi hai un range veramente piccolo. Non c’era il buco, quindi lui non se l’aspettava, ma la cosa bella è che con la traiettoria che ho fatto, in teoria, non c’era lo spazio per stare in pista. Se fossi andato sul verde, avrebbero dato la posizione a Marc, ma se guardate le foto è venuta perfetta, penso di essere rimasto dentro al massimo per due centimetri. Ho fatto le ultime tre curve che meglio non si poteva fare, quindi la goduria è stata pazzesca, anche perché era la situazione opposta a due anni prima (Nel 2017 Marc aveva provato il sorpasso, ma era finito lungo), quindi riuscire a trovare la soluzione per riuscirci mi ha dato tanto gusto”.
Nel tuo percorso da pilota hai affrontato Valentino Rossi, Casey Stoner, Jorge Lorenzo, Dani Pedrosa e Marc Marquez. Quale di questi ti ha messo più in difficoltà e perché?
“Tutti, ma in momento completamente diversi. Per esempio, Pedrosa, Lorenzo e Casey sono piloti che ho vissuto quasi tutti gli anni. Anzi, Lorenzo tutti gli anni, perché abbiamo sempre fatto il salto di categoria nello stesso momento. Dani invece era sempre un anno avanti, mentre Casey ha fatto un po’ di casino, perché era partito in 250 e poi è tornato indietro. Quindi momenti diversi, ma tutti quelli che hai detto erano devastanti. Avevano tutti alti e bassi, ma quando erano in forma vincevano. I primi dieci anni comunque sono stato sempre con loro, poi è subentrato Valentino, ma lui era già avanti nella carriera. Io con Valentino non mi sono mai giocato i campionati e quando io ero competitivo lui non andava, e viceversa. Poi è arrivato Marc, che io mi sono vissuto dall’inizio alla fine. Con gli altri magari ho lottato un anno sì e un anno no, ma Marc è l’unico che c’è sempre stato ogni anno, è devastante”.
Sapendo già che è così forte, come si affronta un rivale come Marc?
“Il problema è quello, che è forte su tutti gli aspetti. Oltre ad essere più forte di tutti su certi aspetti, è che è forte su tutto. L’unico lato, tra virgolette, un po’ negativo di Marc è che non riesce a trattenersi, come che ha dichiarato anche lui. E questo è pericoloso. Di conseguenza ha fatto tantissime cadute nella sua carriera, è stato fortunato a farsi veramente poco male, almeno fino al 2020. E’ stato bravo, ma anche fortunato, perché quando cadi così tante volte in un anno, lo controlli fino ad un certo punto. Ripeto, io non ho vissuto Valentino nei suoi anni in cui dominava, ma ho vissuto quelli di Marc e lui ci ha messo tutti in crisi. Più riesci a vedere quello che fa e più ti abbatti. Sento parlare tanto di com’è possibile che Bagnaia faccia tanta fatica rispetto a lui quest’anno. Indipendentemente dal discorso tecnico, che possono sapere solo loro, psicologicamente è devastante: quando uno è nella tua stessa situazione e riesce a fare certe cose, la realtà è quella. Per un pilota, che ha inevitabilmente un ego altissimo, diventa controproducente”.
Digital Lighthouse lancia “Dovi – la serie”
Foto di: Digital Lighthouse Press Office
Ai tempi della Honda, quando faticavi rispetto a Stoner e Pedrosa, avevi anche pensato di smettere. Pensi che un pensiero di questo tipo possa passare anche per la testa di Bagnaia? E comunque, visto che tu ne sei uscito e conosci molto bene le dinamiche interne della Ducati, che consiglio gli daresti?
“La situazione è diversa, perché nel suo caso è arrivato in casa sua un pilota da un’altra marca e sta facendo la differenza, quindi è pesante in generale. Quando tu sei un pilota che ha fatto un’escalation in crescendo, vincendo in Moto2, facendo un po’ di fatica all’inizio in MotoGP, ma arrivando poi a vincere due titoli e a perderne uno all’ultima gara, arrivi a delle convinzioni importanti. Poi quando si crea una situazione come quella di oggi e ti trovi un Marc dentro al box, te le smonta quelle convinzioni e quindi non è facile. Pecco deve trovare tecnicamente un modo per guidare la GP25 come vuole lui, ma anche per riuscire a ritornare a crearsi a livello mentale la situazione che gli serve per rendere al 100%, perché in questo momento è inevitabile che non ci riesca per tutte queste motivazioni. Non sono nella situazione di potergli dare un consiglio, ma secondo me è sveglio e sta incominciando a capire la realtà della situazione. Che sia complicato e difficilissimo lo sappiamo tutti, ma c’è ancora un altro anno di contratto, quindi ha il tempo per poterci provare. Ad oggi sembra impossibile, ma nelle moto tutto può succedere: magari durante l’inverno riescono ad individuare delle modifiche o a trovare una strada che possa aiutarlo a ritrovare il feeling. Di conseguenza, piano piano, gli può tornare la fiducia che ha perso in questo momento”.
Tu oggi stai portando avanti una doppia attività: da imprenditore con il rilancio dell’impianto di cross e contemporaneamente anche quella di collaudatore e consulente per la Yamaha in MotoGP. Quale delle due ti sta dando più soddistazioni o più problemi?
“Problemi tutti e due! (ride) No, scherzo, è normale che sia così perché sono entrambi progetti importanti e molto grossi, quindi come tali hanno anche un sacco di difficoltà. Lo 04 Park è un sogno che avevo da sempre, ma stiamo parlando di un progetto complicato di suo. Poi comunque è un posto comunale, non privato, quindi ci sono tante dinamiche abbastanza difficili da gestire che non conosciamo. Quindi è molto complicato, ma fa parte dei progetti belli. Lo stesso vale per la Yamaha, perché la gente probabilmente si è dimenticata dove eravamo l’anno scorso. Se si va a vedere i distacchi che prendavamo, abbiamo fatto un lavoro esagerato, che non credevo neanche fosse possibile. Passo sempre per essere quello negativo, ma con tutti i cambiamenti che stiamo facendo è inevitabile che ci voglia tempo. Infatti, nonostante Quartararo abbia fatto delle pole position, nella maggior parte dei casi non riusciamo ad arrivare alla fine per giocarcela, perché il gap era troppo grosso. Non siamo ancora nella situazione di poter lavorare sui dettagli, stiamo ancora ristrutturando la squadra e i metodi di lavoro, poi va tutto amalgamato. Quindi credo che ci vorrà ancora del tempo, ma che ci siano i personaggi giusti e la spinta giusta da parte della Yamaha, ed è per questo che ho accettato un impegno così importante. Adesso non sono più io il pilota, ma riesco a comprenderne il coinvolgimento emotivo e perché non riescono ad essere troppo obiettivi dopo aver fatto 5-6 giri in una sessione, perché sono condizionati da quello che hanno provato in sella. L’ingegnere, che invece non ha mai provato una cosa così, fa fatica a capire queste cose. Il pilota si lamenta soprattutto delle cose che non funzionano perché ha vissuto molto intensamente i minuti precedenti. E’ complicato parlare con i piloti e farli ragionare in un modo razionale, ma devo dire che è affascinante vivere questa cosa dall’altra parte. In ogni caso, i risultati che abbiamo ottenuto quest’anno sono inaspettati dal mio punto di vista, perché è stato fatto un miglioramento enorme, anche se non sono ancora quelli che vorrebbero la Yamaha e i piloti. Ma io ci sono passato in un’altra situazione così in Ducati, dove ci è voluto molto tempo per vincere ed è inevitabile. E solo che si fa un po’ fatica a farlo capire”.
A proposito di questo lavoro da collaudatore, lo escludi categoricamente un possibile ritorno con una wild card?
“I miei amici mi stanno scassando le scatole continuamente, perché vorrebbero rivedermi in pista a fare un’altra gara. E’ logico e la voglia da un lato ci sarebbe anche. Quando abbiamo fatto l’accordo, la Yamaha avrebbe voluto che facessi anche delle gare, ma ho detto di no. Diciamo che sarebbe bello, soprattutto perché questa moto nuova mi piace, ma non avrebbe senso, perché non avrei la velocità per giocarmela davanti. Sto girando troppo poco per poter essere competitivo. Ci sono tanti dettagli da curare e ora ci sono talmente tante gare che gli altri entrano in pista e alla prima uscita fanno già dei tempi impressionanti. Poi le moto di oggi sono fatte in una maniera un po’ diversa rispetto a quelle con cui ho smesso io nel 2021. Quindi sarebbe più per un mio gusto personale, ma poco produttivo. Poi l’impostazione attuale della Yamaha è molto buona, perché c’è Augusto Fernandez che fa il tester e devo riconoscere che è molto bravo ed è veloce. Ha senso spendere soldi ed impegno per fare le wild carc con lui, perché si ottiene di più. Poi le favole sono sempre belle, però diciamo che non si potrebbe stare davanti, quindi non ha molto senso”.
Andrea Dovizioso, Yamaha Factory Racing
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