Ci sono giochi che non invecchiano mai, nonostante la polvere del tempo e la distanza tecnologica che li separa dai titoli contemporanei. Final Fantasy Tactics è uno di questi: non solo un tassello fondamentale della saga, ma un’opera capace di ridefinire il concetto stesso di strategia a turni, intrecciando profondità tattica e narrazione politica, in un equilibrio ancora oggi rarissimo. Per anni, però, il gioiello di Yasumi Matsuno è rimasto confinato a versioni datate, poco accessibili e spesso penalizzate da traduzioni o limitazioni tecniche. Ecco perché Final Fantasy Tactics: The Ivalice Chronicles arriva come una riedizione necessaria: non un semplice lifting estetico, ma una vera “versione 2.0” pensata per restituire dignità e centralità a un capolavoro che rischiava di restare intrappolato nel culto di nicchia. Un ritorno che non serve soltanto a far rivivere un classico, ma a riaffermare il suo ruolo nel pantheon di Final Fantasy e del genere stesso. Lo abbiamo spolpato in maniera capillare – avvicinandoci a un platino abbastanza accessibile – per potervene parlare nel miglior modo possibile.

La stessa storia, ma migliorata

La forza di Final Fantasy Tactics non è mai stata solo nel suo gameplay, ma nella capacità di raccontare una storia corale, dove ogni personaggio poteva incarnare un punto di vista unico sulle vicende di Ivalice. Nella versione originale, però, molte di queste sfumature andarono perdute: come ha raccontato Kazutoyo Maehiro, diversi dialoghi furono tagliati per limiti di spazio e tempi di sviluppo, lasciando in ombra figure che avrebbero potuto brillare di più.

In The Ivalice Chronicles Maehiro ha aggiunto nuove conversazioni che non solo arricchiscono i protagonisti più amati – da Agrias a Cid, fino a Mustadio – ma introducono momenti di dialogo durante le battaglie stesse. Sin dal primo capitolo sarà possibile notare come i rapporti tra Ramza, l’indiscusso protagonista, e Delita vengono rimpinguati da un costante botta e risposta, che precede l’iconica scena di entrambi seduti al tramonto a ragionare di ciò che sarà nel loro futuro. Alcuni di questi scambi vanno oltre il semplice colore narrativo, rivelando motivazioni profonde, come le scelte del veterano Marquis Elmdore, e restituendo a Ivalice quella densità drammatica che i fan hanno sempre percepito sotto la superficie.
Sulla storia in sé non ci soffermeremo più di tanto, perché oltre a dirvi che viene mantenuta la struttura originale non ci resta che augurarvi di potervela godere nella sua forma migliore, alla luce della grande profondità che Matsuno inserì nel suo sostrato narrativo, per raccontare una vicenda che univa eresia a bigottismo, fino a un revisionismo storico che fece sprofondare Ivalice in un contesto inaspettatamente cubo. A impreziosire il tutto c’è stata l’aggiunta di un doppiaggio che ci accompagna per tutta la durata del gioco, senza, a nostro parere, mai perdere colpi, ma su questo aspetto ci concentreremo poco più avanti.

La quality of life

È chiaro che la maggior parte delle migliorie doveva passare dalla quality of life, oramai un’espressione gergale che ha conquistato il mondo dei videogiochi. Al di là della nuova vista tattica, di cui parleremo tra poco, Tactics introduce il fast -forward, la possibilità di velocizzare qualsiasi tipo di movimento, proprio come era stato pensato per Final Fantasy XII The Zodiac Age, e anche gli auto-save in battaglia, pronti ad agevolare di molto gli scontri. Per qualcuno sarà un lifesaver, per altri potrebbe essere una semplificazione da troppo, ma la quality of life passa anche da questo.

È chiaro che l’intenzione è quella di spostare l’attenzione sul job system, a nostro parere invecchiato molto bene e ancora oggi in grado di fornire un sistema di progressione gradevole e corredato da una ramificazione di assoluto pregio, che gratifica i completisti, ma non penalizza chi vuole andare dritto al sodo. Inoltre, il cap delle reclute da portare con sé è stato alzato a 50 (quello dell’originale si fermava a 16).

Queste non sono le uniche aggiunte, perché Final Fantasy Tactics: The Ivalice Chronicles punta forte anche sulla lore, aggiungendo degli elementi che emulano l’Active Time Lore di Final Fantasy XVI, permettendoci di rileggere anche gli avvenimenti e gli eventi che caratterizzano Ivalice durante le nostre battaglie: lo State of the Realm diventa un elemento fondamentale per tutti i giocatori che vogliono entrare nei meandri dell’universo di Tactics e scoprirne tutte le problematiche. A supportarvi in questo viaggio ci saranno anche i trofei, che in alcuni casi vi costringeranno ad approfondire le tematiche offerte, con il solo scopo di restituirvi sia una ricompensa, sia il dono della sapienza.

All’insegna della tradizione

In assenza di velleità di voler realizzare un remake a tutto tondo, ma constatate le esigenze di ricostruire il codice da zero, a discapito della fedeltà avremmo senz’altro gradito dei passi in avanti estetici considerevoli. In cima alla lista c’era l’esigenza di rivedere l’utilizzo della telecamera: aver mantenuto il movimento a 45 gradi ha confermato una complessa gestione degli spazi angusti in alcuni scenari, soprattutto quelli che, a partire dal terzo capitolo, ci hanno portato all’interno di piccoli villaggi, con la maggior parte delle unità in gioco che rimanevano impallate dalle sagome degli edifici.

Sebbene l’inclinazione verso l’alto e verso il basso – davvero limitate – siano state di supporto in alcuni contesti, in tanti altri si è rivelato molto complesso scegliere la casella esatta in cui spostarsi. Problemi che Final Fantasy Tactics si porta dietro dalla versione originale, e che oggi risultano anacronistici e un po’ frustranti. In nostro soccorso poteva arrivare la vista tattica, che con la pressione di R2 (la versione testata è quella PlayStation 5) ci ha fornito una visuale a volo d’uccello sull’intero campo di battaglia: durante il suo utilizzo, però, qualsiasi altra azione viene disabilitata; quindi, selezionare la casella sulla quale muoversi o sulla quale riservare il proprio attacco ad area diviene impossibile, rendendo ancora più farraginoso, se non prolisso, l’espediente offerto. Un altro aspetto che ci ha stupito è l’aver voluto confermare la collocazione dei campi di battaglia totalmente estranea al mondo. La mappa di Ivalice ha subito un bell’ammodernamento, che l’ha resa molto più gradevole alla vista e all’esplorazione, sebbene limitata a strade molto lineari: usarla come sfondo per le battaglie l’avrebbe resa ancora più parte integrante della nostra vicenda, che invece per i combattimenti continua a dipanarsi su strutture geometriche composte da cubi che formano un isolotto sospesa nel vuoto.

Intorno, infatti, troverete solo distese di colori pastello che rendono indefinita la nostra collocazione e quella dei nostri nemici. Un vero peccato, perché si sarebbe potuto dare molto più sfogo all’estro artistico del team di Square-Enix e sfruttare le potenze delle console moderne per lasciarci godere un world building molto più intenso. Durante gli assalti, quindi le battaglie che durano più sessioni, complice il loro essere ambientate in castelli e roccaforti, il team avrebbe potuto persino ragionare sulla possibilità di inserire dei fondali 2D, in pieno stile Octopath Traveler, per arricchire la narrazione e aumentare il pathos di ciò che stava accadendo. Un’occasione sicuramente persa.

Di rimando, l’aver deciso di doppiare qualsiasi personaggio ha rappresentato un’ottima aggiunta a tutto il prodotto: sin dalle prime battute, fino ai numerosi scambi di intermezzo o durante le battaglie la caratterizzazione dei protagonisti, tutti molto british, è stata assai gradevole.

Tra l’altro, è stato finalmente possibile contestualizzare anagraficamente molti di essi, che a causa degli sprite molto naif sembravano essere dei bambini vestiti per giocare a far la guerra (elemento che in Tactics Advance, d’altronde, veniva degnamente cavalcato). Le varie unità si lasciano schierare sul campo di battaglia pronunciando un grido di guerra che le caratterizza, così da aumentare ancora di più la profondità anche di comprimari come Cid, Argias e Mustadio.

Una riedizione per chi?

Il vero quesito che ci siamo posti per le svariate decine di ore in compagnia di Ramza, con l’unico obiettivo di sbloccare il job definitivo (il Mime, ovviamente), è purtroppo lo stesso che ci affianca ogni volta ci ritroviamo dinanzi a un lavoro di remastered o di remake, spesso a opera di Square-Enix: a chi si rivolge questo tipo di prodotto e che riscontro avrà dal mercato? Quesiti che appartengono anche a Dragon Quest, di recente tornato in auge con la prima trilogia, ma non ovviamente al lavoro di rifacimento di Final Fantasy VII, di cui Remake e Rebirth sono dei progetti dall’altissimo valore e che si aprono ai vecchi fan e a una platea totalmente nuova.

Di contro, è palese che Final Fantasy Tactics, con la sua trazione tradizionalista e con l’esigenza di mantenersi ben saldo al suo passato, voglia strizzare l’occhio soprattutto a un pubblico nostalgico, a chi dopo 30 anni avrebbe avuto come uniche alternative l’acquisto della versione mobile di Tactics su iOS o su Android, oppure rigiocare sulla prima PlayStation il titolo originale (tra l’altro compreso in questa riedizione). Un remake avrebbe potuto avere dalla sua una portata ben più grande, così da poter attingere all’audience che ha saputo costruirsi Tactics Ogre Reborn, sbaragliando quella concorrenza che, da risultati meno soddisfacenti come Luminous Arc fino ad altri molto più di successo, in questi 30 anni si è adoperata per migliorarsi adattandosi alle esigenze moderne. Final Fantasy Tactics questo processo non l’ha voluto sposare e ha preferito immergersi nelle acque già riscaldate della nostalgia, riproponendoci una vicenda nota, con le medesime caratteristiche del tempo, impreziosita da alcune migliorie, che passano anche dalla quality of life, ma pur sempre fossilizzata su ciò che è stato in passato.

Aggiornamenti visivi

Un cenno va fatto anche a quelle che sono le migliorie grafiche, perché le texture sono state degnamente ridefinite, il nuovo formato è ovviamente il 16:9 e gli stessi modelli sono migliorati, offrendo degli sprite più gradevoli alla vista. A giovarne è anche tutta la UI, perché rispetto alla versione originale adesso tutto è molto più moderno. I dialoghi vengono ospitati da finestre meno granulose, più nitide: le stesse icone dei personaggi hanno con sé una linea d’ombra che ne definisce meglio i bordi, così come la loro collocazione è più gradevole di un’immagine che sembrava ritagliata maldestramente.

Anche in battaglia questi accorgimenti sono visibili: non solo le scritte in sovrimpressione con le condizioni di vittoria appaiono molto più moderne, ma anche gli stessi movimenti (annullare uno spostamento è molto più immediato, adesso) e scelte delle azioni vengono accompagnati da una proposta maggiormente al passo con i tempi. Una pulizia generale di indubbio valore, senz’altro, ma che avrebbe potuto compiere qualche ulteriore passo in avanti.