L’ex dg della Juve radiato per i fatti di Calciopoli: “Da presidente della Figc pensava alla sua ex squadra. Quando se n’è andato Umberto Agnelli per noi è stata la fine. Tudor ha una barca, e l’ha chiamata ‘Moggi'”


Guglielmo Buccheri

Giornalista

24 settembre 2025 (modifica alle 23:35) – TORINO

Un selfie. E, poi, un altro. “Chiedere la grazia? E perché? La grazia la chiede chi ha avuto un ergastolo…”. Luciano Moggi è fuori dal calcio: radiazione, la sentenza. Da quel calcio che lo riporta sempre al centro del ring quando il pallone entra nell’area più avvelenata. 

Un selfie. E, poi, un altro…

“Va così ogni volta che entro in un bar o a ristorante. Vi sembrerà strano? Non lo è, qui a Torino o altrove: ho pagato, sto pagando, ma non ho ammazzato nessuno e la gente lo sa”. 

Non ha ammazzato nessuno, ma il 2006 ha cambiato la storia. Il presidente della Figc di allora, Franco Carraro, alla Gazzetta dello Sport, ha voluto riaprire il cassetto… 

“Carraro dice che tutto è nato da un suo errore politico, ho letto: nel 2004 voleva sostituire i due designatori Bergamo e Pairetto con Pierluigi Collina, loro lo hanno saputo e sono venuti quindi a cercare il mio appoggio. Una vera e propria bufala”. 

Carraro non ha dubbi: è andata così. 

“Allora… giusto per fare ordine. Nel 2004, noi e il Milan eravamo in lotta per lo scudetto e Carraro cercava di favorire i rossoneri di cui, in passato, era stato presidente: “Mi raccomando, gli dica di non aiutare la Juventus…”, la sua telefonata a Bergamo. Il destinatario di quel “gli dica” era Rodomonti, arbitro della nostra partita a Milano contro l’Inter: ovviamente non intendeva aiutare i nerazzurri, ma il Milan in caso di un passo falso della Juve”. 

L’ex numero uno della Figc dice anche che i due scudetti dovevano rimanere non assegnati. 

“Ma non dice di cosa sono colpevoli i dirigenti bianconeri. Non lo dice per non continuare con le sue bugie. Non è stato lui ad ammettere di aver cercato di aiutare qualche squadra a non retrocedere danneggiando le altre? E, invece, parla dei designatori che vennero da me in cerca di protezione. Come la spiega questa? Nella settimana che precedeva Milan-Juve dell’8 maggio 2005, facemmo ricorso per recuperare Ibrahimovic, fermato da tre giornate di squalifica: richiedemmo la prova tv con l’assistente Griselli di Livorno che doveva dire se avesse visto o meno il fallo che allo stadio nessuno aveva visto fatta eccezione per una telecamera di Mediaset. Il tempo di presentare ricorso alla Commissione ed ecco la telefonata tra l’addetto agli arbitri del Milan Meani e Bergamo. “Griselli è di Livorno come me, la Juve troverà la porta chiusa… ”, la voce del designatore”. 

Chi è oggi Luciano Moggi? 

“Un nonno a cui il nipote più piccolo chiede se può portare a casa gli amici dell’università per conoscermi. Un nonno che passa gran parte della giornata a dare consigli sui giocatori da prendere: consigli a tutti, anche a dirigenti o tecnici più di moda”. 

“Sono passato per arrogante, non ho capito che un certo modo di essere, soprattutto in una realtà come quella torinese, non paga, anzi: ho sempre amato scherzare o provocare”. 

Moggi si doveva fare da parte: ha mai pensato di lasciare giocando d’anticipo? 

“Eravamo diventati ingombranti, vincevamo sul campo e non solo: gli azionisti aumentavano i loro dividenti. Quando facemmo firmare il contratto a Capello, dissi a Giraudo di chiamare Umberto (Agnelli, ndr): non c’era più, se ne era andato. Antonio, alla guida, si girò verso di me: “Per noi è finita…”. Il significato di quelle parole lo capii due anni dopo”. 

Squadre o giocatori: la storia che ama ricordare. 

“Zola. Lo presi a Napoli come vice Maradona: nessuno voleva scommettere su di lui, lo vidi a Campobasso, giocava per la Turris e non fece bene, ma si capiva che aveva tecnica da vendere e personalità. “La maglia di Diego? Una come tante altre”, rispose dopo aver sostituito l’argentino e aver segnato con il Lecce. Maradona si arrabbiò”. 

“A Mosca si presentò il giorno dopo: troppo facile mandarlo in tribuna, al caldo, lo misi in panchina sotto la neve. Mai trattare i campioni in modo diverso, perdi credibilità agli occhi del gruppo”. 

Un po’ di bastone, un po’ di carota… 

“Diciamo così. Diciamolo a David (Trezeguet, ndr): in discoteca si poteva andare solo quando non c’erano le coppe a metà settimana, mi trovò all’ingresso dell’Hollywood, non ci ha più messo piede”. 

Tudor è un allenatore da Juve? 

“Igor è un leader, sa come si fa: con noi si è fatto largo pur non avendo un talento naturale. Deve capire, ma l’ha capito, che le sue fortune passano da Vlahovic, ma che Vlahovic va mandato in campo dalla panchina: così può dimostrare al mondo che è più forte degli altri attaccanti. Se gira Dusan si può pensare ai primi quattro posti, altrimenti la vedo non facile. E, comunque, io avrei costruito la squadra con un centrocampista in più, e magari un difensore, e con meno uomini offensivi”. 

“A Spalato, nella sua città, ha una barca: sapete come l’ha chiamata? Moggi. I miei ragazzi mi hanno voluto tutti bene. E me ne vogliono ancora”. 

Un selfie. E, poi, un altro: al bar o al ristorante. 

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“Non chiederò mai la grazia, la grazia la chiede chi ha avuto un ergastolo…”.