I tre giorni del Condor festeggia il suo 50° anniversario a pochi giorni dalla dipartita di lui, Robert Redford. Di personaggi memorabili nella sua lunga carriera, il biondo per eccellenza di Hollywood ne aveva interpretati tantissimi, ma Joseph Turner, protagonista del capolavoro del grande Sydney Pollack, è stato forse il suo più importante, il più intrigante.

Un film capace di rappresentare un’epoca storica

I tre giorni del Condor esce in un momento particolare, a dir poco, per l’America. Si è consumato l’atto finale del disastro vietnamita, l’America ha conosciuto per la prima volta una terribile sconfitta e all’interno le cose non vanno meglio. Conflittualità sociale, crisi economica, lo scandalo Watergate hanno contribuito a far toccare agli Stati Uniti il minimo storico in quanto a reputazione e concezione di sé. C’è un romanzo, uscito nel 1974, si intitola “I sei giorni del Condor”, scritto da James Grady, è stato un successo incredibile. Ci posa gli occhi sopra lui, Sydney Pollack, all’epoca in rampa di lancio dopo averci regalato perle assolute come Corvo rosso non avrai il mio scalpo!, Come eravamo. Ha legato con lui, Robert Redford, e questo capolavoro del genere spy action rappresenta l’apice di un sodalizio tra i più belli della storia della settima arte.

L’America ha distrutto governi stranieri, instaurato regimi, dal Cile all’Iran, dal Congo all’Argentina, con cui proteggere le proprie multinazionali o mettere le mani sulle ricchezze altrui. Protagonista del film è Joseph Turner (Robert Redford), che lavora in una piccola centrale della CIA. Dentro non ci sono super spie, ma semplicemente impiegati, che hanno il compito di analizzare giornali, riviste, per controllare se dentro non vi siano messaggi cifrati o una qualsiasi tipologia di materiale sospetto. Sidney Pollack dà un taglio netto alla caratterizzazione della Grande Mela, dove si svolge la vicenda. Il clima è autunnale, c’è la pioggia spesso e volentieri, la splendida fotografia di Owen Roizman contribuisce a rendere New York un gigantesco labirinto, un alveare tenebroso e formicolante, alienante. Joseph si salva perché è uscito per prendere la colazione, trova i cadaveri dei colleghi e chiama i suoi superiori atterrito.

Charlie SheenPerché Charlie Sheen è una delle figure più folli di Hollywood (e un nuovo documentario su Netflix lo dimostra)

Aka Charlie Sheen ha appena debuttato sulla piattaforma ed è la quintessenza della sregolatezza dell’attore americano

Ma da quel momento, sarà costretto a cavarsela da solo, si rende conto di essere braccato da tutto e tutti. La stessa sequenza dell’irruzione in I tre giorni del Condor, è un miracolo di montaggio e regia, di sguardi e raccordi. Introduce soprattutto lui, Joubert (Max von Sydow), glaciale ed elegante killer che diventerà una presenza enigmatica nell’insieme. Comincia così una caccia all’uomo a senso alternato, perché se da un lato Joubert, e infine Higgins (Cliff Robertson), uno degli alti papaveri dell’Agenzia, sono sulle tracce di Joseph, d’altra parte questi, dimostrando un’incredibile capacità di improvvisazione e astuzia, pur braccato, non si arrende, deciso a scoprire la verità, costi quel che costi. I tre giorni del Condor rende il genere connesso al neo-noir, anche all’action. Ma Pollack lo utilizza soprattutto per omaggiare il grande Alfred Hitchcock, il suo Intrigo Internazionale, L’uomo che sapeva troppo, Topaz e Il sipario strappato.

C’è il tema dell’uomo comune contro l’universo, che poi avrebbe fatto la fortuna di un attore come Harrison Ford. Soprattutto Pollack opta per il realismo, la verosimiglianza dell’insieme. Ciò non riguarda solamente la messa inscena, l’atmosfera, tra intercettazioni telefoniche, pedinamenti, agguati, la tragedia di un uomo qualsiasi che combatte contro un nemico invisibile. La stessa vicenda, il fatto che quella squadra sia stata eliminata da un funzionario corrotto della CIA, Leonard Atwood (Addison Powell), per aver scoperto inavvertitamente i suoi piani per una guerra in Medio Oriente con cui impadronirsi del petrolio, reggerebbero persino oggi. Condor, lo stesso nome d’agente di Joseph, fa curiosamente venire in mente del resto l’omonima operazione, che a partire da quell’anno vide i regimi fascisti del Sudamerica collaborare con gli Stati Uniti per stroncare ogni movimento politico di sinistra con il terrore.

Un uomo solo, in lotta contro tutto il mondo

I tre giorni del Condor è animato da una tensione incredibile, che cresce poi quando entra in scena la bella Kathy (Faye Dunaway) sequestrata da Joseph e costretta ad ospitarlo in casa. Diventeranno, incredibilmente, persino amanti e complici, ma è un licenza che Pollack sa rendere credibile, dal momento che entrambi sono soli, prigionieri di una città claustrofobica e una realtà opprimente. La scrittura, anzi riscrittura del testo originale, fa sì che Sydney Pollack faccia qualcosa di assolutamente atipico: non mette i suoi personaggi al servizio dell’intrigo, ma fa il contrario, facendo sì che I tre giorni del Condor ci mostri l’evoluzione di un campionario umano ambiguo, a dir poco, compreso il protagonista. Robert Redford, elegante anche quando cerca di non esserlo, entra nell’immaginario collettivo in modo ancora più marcato, con quegli occhiali da sole a specchio, quel cappotto col colletto alzato.