Approda nelle commissioni parlamentari il disegno di legge 1413/2025 che promette di rivoluzionare il sistema previdenziale del personale scolastico. La senatrice Carmela Bucalo, esponente di Fratelli d’Italia, ha presentato una proposta normativa che consentirebbe il riscatto della laurea a costi drasticamente ridotti, fissando l’importo a circa 900 euro per anno accademico invece degli attuali 6.076 euro.
La proposta, sostenuta dall’Anief e già forte di 120mila adesioni, promette di rivoluzionare le regole pensionistiche per docenti, dirigenti e personale ATA, riducendo drasticamente i costi del riscatto della laurea.
Meccanismo di calcolo: aliquota al 5% per abbattere i costi contributivi
Il cuore della riforma risiede nell’applicazione di un’aliquota agevolata del 5% che trasformerebbe radicalmente l’accessibilità economica del riscatto universitario. Attualmente, secondo i dati Inps, riscattare un quinquennio accademico comporta una spesa superiore ai 30.000 euro, cifra che scoraggia la maggior parte dei lavoratori dall’utilizzare questo strumento.
Con il nuovo meccanismo, una laurea magistrale quinquennale richiederebbe un investimento complessivo di soli 4.500 euro, rendendo concretamente praticabile l’obiettivo della pensione anticipata a 60 anni. Il calcolo prevede che, con il riscatto agevolato, gli uomini potrebbero lasciare il servizio dopo 37 anni di contributi, mentre le donne dopo 36 anni, aprendo scenari inediti per la programmazione delle carriere nel comparto istruzione e ricerca.
L’iter legislativo e il contesto sociale
Il provvedimento, composto da un solo articolo in due commi, modifica l’aliquota di computo introdotta dal Dl 4/2019, riducendola al 5 per cento. La proposta è in attesa di calendarizzazione in Commissione entro fine marzo e dovrà seguire un percorso ben definito, come spiegato dalla stessa senatrice Bucalo a Orizzonte Scuola TV: “Nel momento in cui viene calendarizzata si iniziano le audizioni, fase importante che ci permette di confrontarci con sindacati e associazioni”. L’iniziativa nasce anche dalla spinta della petizione lanciata dal sindacato Anief, che ha raccolto 120.000 firme, evidenziando l’urgenza del tema in un contesto dove, secondo un’indagine dell’Università Bicocca, quasi un insegnante su due soffre di burnout.
Gli effetti previdenziali attesi
Se approvato, il disegno di legge consentirebbe ai lavoratori del comparto istruzione e ricerca di accedere alla pensione a 61 anni, senza penalizzazioni sull’assegno previdenziale. La misura rappresenterebbe un importante riconoscimento del valore degli anni di studio universitario anche ai fini pensionistici. Dopo la fase delle audizioni, seguirà la presentazione degli emendamenti e una “fase silenziosa” ma cruciale di confronto con i ministeri interessati. “È la fase più importante”, sottolinea la senatrice Bucalo, “perché lì inizia un confronto serio con i ministeri e i tecnici per trovare soluzioni e smussare gli angoli”.
Vantaggi immediati ma assegni ridotti: il trade-off della riforma
La Repubblica ha realizzato un approfondimento sul tema a cura della giornalista Miriam Carraretto. Le simulazioni pratiche evidenziano chiaramente il compromesso insito nella proposta.
Maria, insegnante con 32 anni di contributi, potrebbe riscattare la laurea quadriennale spendendo 3.600 euro invece di 24mila, uscendo dal lavoro a 60 anni. Il prezzo da pagare: una riduzione dell’assegno pensionistico da 1.550 a 1.350 euro mensili, equivalente a una perdita di circa 48mila euro in vent’anni.
Stesso discorso per Luca, professore di matematica, che vedrebbe la sua pensione scendere da 1.650 a 1.480 euro, perdendo oltre 40mila euro nel lungo periodo. La convenienza economica dipenderebbe quindi dalla valutazione individuale tra il valore del tempo libero guadagnato e la perdita economica sostenuta.
Sostenibilità finanziaria e confronto europeo: le incognite della proposta
La sostenibilità della misura rappresenta il nodo più complesso da sciogliere, considerando l’impatto potenziale sui conti pubblici di una riforma che coinvolgerebbe oltre un milione di lavoratori.
Il confronto con il panorama europeo rivela la radicalità della proposta dell’Italia: mentre Germania e Francia mantengono l’età pensionabile vicino ai 67 anni e i Paesi nordici privilegiano la contribuzione effettiva, l’Italia si appresta a sperimentare una via alternativa.
La misura, però, potrebbe tuttavia favorire il ricambio generazionale nella scuola, liberando cattedre oggi occupate da docenti over 60 e permettendo l’immissione di nuove competenze.