Mps accelera sull’Ops per Mediobanca e strizza l’occhio a Bpm. Dopo i tour con gli investitori, il ceo vede già un terzo polo italiano. La mossa piace a Palazzo Chigi, inquieta Unicredit e accende Generali. Nel risiko bancario italiano, Siena vuole dettare le regole del gioco.
Il nuovo volto della finanza italiana? Potrebbe avere il profilo deciso di Luigi Lovaglio (foto), l’amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena, che ha messo in moto un’operazione da manuale di alta finanza, con l’ambizione di costruire un super polo tricolore da 40 miliardi di euro, puntando all’integrazione tra Mps, Mediobanca e Banco Bpm. Un progetto che, se dovesse andare in porto, darebbe vita al terzo gruppo bancario italiano, con capitali, relazioni e sinergie capaci di cambiare gli equilibri di Piazza Affari e non solo.
Un’offerta che punta al cuore di Piazzetta Cuccia
L’offerta pubblica di scambio (Ops) lanciata da Mps su Mediobanca il 14 luglio è il primo tassello della strategia. Lovaglio lo ha detto chiaramente nel corso di una conference call con gli investitori e nei roadshow tra Londra e New York: “I feedback sono stati estremamente positivi. L’obiettivo minimo resta il 66,7% del capitale di Mediobanca”, ha dichiarato il ceo il 24 luglio 2025.
Il concambio – 2,533 azioni Mps per ogni azione Mediobanca – è ritenuto “equilibrato” da Siena, anche se il mercato sconta ancora un 3,5% di differenziale, pari a circa 550 milioni di euro. Ma l’Ad ha chiuso a qualsiasi ipotesi di rilancio cash: “L’operazione è di mercato, non c’è nessuna anomalia”, ha detto Lovaglio rispondendo alle critiche del ceo di Mediobanca, Alberto Nagel. Lo scontro tra i due amministratori è ormai aperto, ma Lovaglio non sembra intenzionato a rallentare.
Bpm nel mirino, dopo il passo indietro di Unicredit
Con Mediobanca nel mirino, il secondo pezzo del puzzle potrebbe essere Banco Bpm. Il passo indietro di Unicredit da un’operazione con Bpm, reso noto il 22 luglio, ha liberato il campo. Siena, che già detiene il 9% dell’istituto guidato da Giuseppe Castagna, potrebbe tentare l’aggancio, contando anche sull’appoggio di Crédit Agricole, primo azionista di Bpm con il 20%, e intenzionato a salire fino al 25% dopo il via libera chiesto alla Bce.
Parigi vedrebbe di buon occhio una triangolazione Mps–Mediobanca–Bpm, in grado di valorizzare le sinergie nei prestiti al consumo (Agos-Compass), nella distribuzione dei fondi (con Amundi) e nella bancassurance, dove la quota del 13% di Mediobanca in Generali potrebbe fungere da catalizzatore per nuove alleanze.
Il sostegno politico non manca. E Unicredit trema
La regia del governo è sottotraccia, ma ben presente. Palazzo Chigi guarda con favore a un polo bancario nazionale a guida italiana. L’alternativa, paventata da alcuni analisti, sarebbe una crescente presenza di capitali esteri in Generali, con l’ipotesi di un’aggregazione tra la compagnia triestina e il colosso francese Natixis che continua a preoccupare.
Nel frattempo, Andrea Orcel, ceo di Unicredit, non è rimasto alla finestra. All’ultima assemblea di Mediobanca, il gruppo milanese ha votato al fianco di Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin, entrambi azionisti anche di Mps e Mediobanca. Una mossa interpretata dagli analisti come tentativo di “infiltrazione strategica” nel risiko, o quanto meno di controllo sui futuri equilibri in Generali, il cui baricentro resta a Piazzetta Cuccia.
Il dividendo cresce, i dipendenti osservano
Sul piano industriale, Lovaglio continua a rassicurare. “Il dividendo crescerà a doppia cifra e il nuovo gruppo sarà più efficiente, competitivo e capace di attrarre talenti”, ha dichiarato il 24 luglio da Siena. Il messaggio è chiaro anche per il personale: l’aggregazione non è solo una questione di numeri ma anche di rilancio reputazionale e opportunità di carriera.
Il vero punto di forza? Secondo l’Ad, anche in caso di mancato superamento della soglia del 50% di Mediobanca, Mps beneficerebbe comunque di sinergie, dell’attivazione delle Dta e di un posizionamento strategico più forte sul mercato.
I numeri di un gigante in formazione
Mps + Mediobanca + Bpm: una somma che vale 40 miliardi di capitalizzazione complessiva, oltre 2.000 sportelli, quote importanti in Generali e una potenziale leadership in ambiti chiave come credito alle imprese, wealth management e assicurazione. A oggi, si tratterebbe del terzo gruppo italiano dietro Intesa Sanpaolo e Unicredit, ma con una governance più agile e una visione industriale integrata.
Come ha scritto Financial Times il 25 luglio 2025, “l’operazione Lovaglio è il più ambizioso tentativo di ridisegnare l’architettura bancaria italiana degli ultimi vent’anni”. Ma non sarà una passeggiata. La sfida si gioca su più tavoli: da Bruxelles (con la vigilanza Bce e le regole sugli aiuti di Stato) alle piazze finanziarie internazionali, passando per il fragile equilibrio politico che circonda ogni grande fusione nel nostro Paese.
Mps in cabina di regia. Per ora.
Il rischio? Che l’aggregazione venga bloccata da logiche di potere, ostilità incrociate e resistenze interne. Ma se il piano andasse in porto, Lovaglio potrebbe diventare l’artefice di una delle più spettacolari ristrutturazioni bancarie italiane. Con Siena che, da cenerentola del sistema dopo anni di crisi, tornerebbe protagonista assoluta. E con Mediobanca e Bpm che, da prede, si trasformerebbero in pilastri di un nuovo gigante italiano.