Dai contenziosi per infiltrazioni d’acqua nei tetti ai dossier della Cia e dell’Fbi. Nella storia della giurisprudenza americana poche carriere hanno fughe in avanti come quella di Lindsey Halligan, la nuova procuratrice degli Stati Uniti per il Distretto Orientale della Virginia. Halligan ha trentasei anni, conta un paio di partecipazioni a Miss Colorado e ha studiato Legge in Florida. La sua breve esperienza da avvocata l’ha costruita su cause di piccola entità, quasi tutte risolte senza processo. I suoi clienti più frequenti erano le compagnie assicurative citate in giudizio da proprietari di case convinti di avere diritto a una copertura migliore. Competenze preziose in un’aula di tribunale della contea, un po’ meno per la giustizia federale.

La carriera di Halligan, come per molti funzionari nominati da quest’amministrazione, ha un prima e un dopo l’incontro con Donald Trump. Nel suo caso la data cerchiata in rosso sul calendario è un giorno di novembre 2021. Era al Golf Club di West Palm Beach, dove Trump ama passare il tempo libero (e anche quello lavorativo). Halligan ha detto al Washington Post che probabilmente si è fatta notare dall’attuale presidente perché, a differenza delle altre donne presenti all’evento, indossava un tailleur e non un abito da sera. Trump deve apprezzare la sobrietà sartoriale tanto quanto la fedeltà politica.

Da lì, la sua carriera decolla (c’è una ricostruzione dettagliata sul sito della rivista Mother Jones). Entra nello staff legale di Trump e subito deve occuparsi dei documenti secretati nascosti nel resort Mar-a-Lago. Fa così il suo debutto in un’aula federale. E sembra una gag comica. Halligan è a disagio in quel contesto: la giudice Aileen Cannon deve perfino indirizzarla gentilmente al sito web del tribunale per presentare correttamente tutta la documentazione.

La tragicommedia raggiunge nuove vette in Corte d’Appello. Halligan e il suo team sostengono che Trump meriti protezioni speciali in quanto ex presidente. La risposta dei giudici è un’affermazione tanto elementare quanto lapidaria: la legge è uguale per tutti. Un principio sfuggente per i frequentatori di Mar-a-Lago.

Dopo la vittoria elettorale a novembre, Halligan raggiunge il presidente alla Casa Bianca come assistente per la politica interna nello staff presidenziale. A marzo, Trump le dà incarico, con un ordine esecutivo, di rimuovere «l’ideologia impropria» della Smithsonian Institution, una fondazione privata ma finanziata con fondi federali. Cioè deve cancellare dai musei nazionali le «ideologie e culture corrosive, ripristinando verità e buon senso nel racconto della storia americana» (virgolettato preso dal provvedimento). In buona sostanza, bisogna rimuovere i riferimenti al razzismo.

All’inizio di questa settimana è arrivata la consacrazione: Trump l’ha nominata procuratrice federale per il Distretto Orientale della Virginia. È uno degli uffici giudiziari più importanti degli Stati Uniti, responsabile di casi di spionaggio, terrorismo e corruzione. Qui non ci si occupa di infiltrazioni nei tetti, ma di sicurezza nazionale. Con uno staff di oltre trecento persone da coordinare.

Halligan non sembra qualificata per tutto questo, ma poco importa, ha quelle poche qualità che contano nell’America di Trump: è leale, televisiva, pronta a colpire i nemici del presidente.

Il predecessore di Halligan, Erik Seibert è un veterano con 675 casi federali alle spalle (Halligan ne conta tre). È stato costretto alle dimissioni perché non aveva trovato prove per incriminare due nemici storici di Trump: l’ex direttore dell’Fbi James Comey e l’Attorney General di New York Letitia James.

Quando a inizio settimana Trump ha chiesto alla sua ministra della giustizia, Pam Bondi, di perseguire i suoi rivali politici, aveva pubblicato un post delirante su Truth Social in cui gridava solo vendetta: «Non possiamo più rimandare, sta uccidendo la nostra reputazione e credibilità. Mi hanno messo sotto accusa due volte e incriminato (5 volte!), PER NULLA. GIUSTIZIA DEVE ESSERE FATTA, ORA!!!».

E giovedì (la notte tra giovedì e venerdì in Italia) Comey è stato incriminato con l’accusa di falsa dichiarazione e ostruzione della giustizia. È la prima volta che un ex direttore dell’agenzia viene formalmente incriminato. Se sarà condannato, Comey rischia fino a cinque anni di carcere. Halligan ha deciso di procedere nonostante molti degli avvocati più esperti del suo staff le avessero fatto sapere – in una nota dettagliata – che queste accuse violano le politiche del Dipartimento di Giustizia, oltre al fatto che sollevano gravi questioni etiche. Evidentemente queste informazioni le rimbalzano addosso, lei sapeva solo di dover eseguire quanto ordinato da Trump. E avrebbe anche dovuto farlo in fretta: martedì sarebbero scaduti i termini per perseguire Comey per presunte false dichiarazioni, poi tutto sarebbe andato tutto in prescrizione. Detto, fatto: la giustizia alla maniera di Donald Trump ha fatto il suo corso.

La Casa Bianca aveva così tanta fretta di nominare Halligan al posto di Siebert che l’e-mail inviata nel tardo pomeriggio di lunedì ai membri dello staff del Distretto Orientale – quella con le informazioni da usare per i documenti ufficiali – conteneva un errore di batitura nel suo nome.

«Non credo che Siebert sarà l’ultimo ad essere licenziato», ha detto Stacey Young, direttrice di Justice Connection – un network di ex dipendenti del Dipartimento di Giustizia. «Ogni procuratore federale sa che se non trova prove sufficienti contro i nemici del presidente, potrebbe essere il prossimo a perdere il posto».

Anche la Society for the Rule of Law Institute, organizzazione di giuristi di area repubblicana ha individuato nelle dimissioni forzate di Siebert «il nuovo punto più basso nella corruzione in corso del Dipartimento di Giustizia». C’è anche la testimonianza di John McKay, licenziato durante l’era Bush: «All’epoca si sentivano in dovere di mentire sui motivi, oggi lo dicono apertamente: lo facciamo per ragioni politiche».

È la trumpizzazione della Giustizia, che ora non è più cieca ma ha il mirino puntato sui rivali politici del presidente.