Benyamin Netanyahu è atterrato ieri a New York e oggi parlerà alle Nazioni unite, che considera un campo di battaglia. Lunedì incontrerà Donald Trump con cui, ha annunciato prima di decollare da Tel Aviv, discuterà «della necessità di terminare gli obiettivi della guerra (a Gaza): riportare indietro tutti i nostri ostaggi e sconfiggere Hamas» e dell’Iran.
IL SUO DISCORSO all’Assemblea dell’Onu darà certamente una risposta alla raffica di riconoscimenti dello Stato di Palestina da parte di vari paesi occidentali, alcuni alleati storici di Israele, come la Francia. Ribadirà inoltre quanto ha detto più volte in questi giorni: non ci sarà mai uno Stato palestinese tra Israele e il fiume Giordano. Sarà perentorio rivolgendosi (indirettamente) al presidente palestinese Abu Mazen: che non si faccia illusioni, l’Anp non potrà dare vita a uno Stato palestinese. E Israele al suo fianco avrà Donald Trump.
Sviato dai riconoscimenti simbolici, privi di provvedimenti concreti, giunti da Macron, Starmer e altri leader occidentali, Abu Mazen pensa di avere buone carte da giocare.
È convinto che, alla fine, Trump, colui che gli ha persino impedito di recarsi al Palazzo di Vetro, non potrà che ricorrere all’Anp per dare un governo alla Striscia di Gaza. Perciò, in collegamento video da Ramallah, ha pronunciato ieri un discorso volto a trasmettere l’immagine di un leader deciso a proiettare il popolo palestinese verso lo Stato e si è detto certo che la sua gente «rimarrà radicata come gli ulivi. Saldi come le rocce, ci rialzeremo da sotto le macerie per ricostruire».
Ha ringraziato i paesi che hanno riconosciuto la Palestina e annunciato che entro tre mesi una Costituzione temporanea getterà le basi del futuro Stato palestinese. «Vogliamo vivere in uno Stato indipendente e sovrano sui confini del 1967, con Gerusalemme est come capitale, in sicurezza e pace con i nostri vicini», ha proclamato. Con l’intento di mandare segnali concilianti a Tel Aviv e Washington, ha affermato che l’Anp ripudia «quello che Hamas ha fatto il 7 ottobre 2023», aggiungendo che il movimento islamico – che pure è molto popolare nei Territori occupati, certo più dell’Anp – sarà escluso dalla futura gestione amministrativa: «La Palestina non sarà uno Stato in armi, ma avrà una postura pacifica».
RIMARCANDO l’impegno a lavorare con gli Stati uniti ma anche con Francia e Arabia saudita, Abu Mazen ha elencato in totale nove punti che, a suo dire, rappresentano le condizioni necessarie per aprire la strada a una pace reale. Tra questi: un cessate il fuoco immediato e permanente a Gaza; la fine dell’uso della fame come arma di guerra da parte di Israele; il rilascio di ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi; piena responsabilità dell’Anp a Gaza; la ricostruzione; l’avvio di riforme nell’Anp; elezioni entro un anno dalla fine della guerra.
Ciò che Abu Mazen e il suo vice Hussein Sheikh non sembrano comprendere è che, per quanti sforzi e concessioni facciano per persuadere la Casa bianca e Israele a riprenderli sulla barca dopo averli buttati a mare, Netanyahu e il suo potenziale successore (secondo i sondaggi) Naftali Bennett, un ultranazionalista religioso, non permetteranno all’Anp di tornare sulla scena diplomatica, perché respingono categoricamente l’idea dello Stato palestinese. E per dimostrare che i riconoscimenti ottenuti dalla Palestina non hanno valore sul terreno, Netanyahu ha ordinato la chiusura a tempo indeterminato del valico di Allenby tra Cisgiordania e Giordania, sbarrando il passaggio a milioni di palestinesi. Inizialmente si riteneva che la chiusura fosse legata all’attacco armato compiuto da un camionista giordano, in cui sono stati uccisi due soldati israeliani.
POI SI È APPRESO che si trattava di una «punizione» per tutti i palestinesi dopo i riconoscimenti internazionali. Secondo Hazmi Muhanna, responsabile per le frontiere dell’Anp, il transito sul fiume Giordano dovrebbe riaprire oggi, almeno per le migliaia di persone in attesa da giorni, ma non per il traffico delle merci. Nessuno sa se ciò avverrà realmente. Si teme per che la chiusura di Allenby sia un test per l’annessione a Israele della Valle del Giordano.
L’amministrazione Trump, si dice, avrebbe promesso ai leader arabi che impedirà l’annessione della Cisgiordania. Il ministro degli esteri Gideon Saar, invece, sostiene che lo Stato ebraico estenderà la sua sovranità alle colonie, quindi almeno sul 60% della Cisgiordania. Netanyahu con Trump – che ieri ha annunciato di nuovo che l’accordo di tregua a Gaza è «molto vicino» – discuterà dei 21 punti presentati dal presidente americano all’incontro avuto a inizio settimana con Arabia saudita, Emirati, Qatar, Egitto, Giordania, Turchia, Indonesia e Pakistan. Ha già messo le mani avanti dichiarando che nessuno potrà imporre a Israele piani e proposte contro la sua sicurezza.
L’INVIATO SPECIALE statunitense Witkoff mercoledì si è detto «fiducioso», ma i 21 punti di Donald Trump per il cosiddetto «dopo Hamas» non vanno oltre l’impegno finanziario dei paesi arabi per la ricostruzione di Gaza, l’impiego di arabi nella amministrazione civile e militare della Striscia, non escludono il progetto di «Gaza Riviera» e la pulizia etnica della Striscia con la «partenza volontaria» degli abitanti (oltre due milioni).