Lo sguardo appuntito, la linea del viso, perfino la montatura rotonda degli occhiali di Julia Baird richiamano in maniera impressionante le fattezze di suo fratello, John Lennon. Figli della stessa madre ma con padri diversi, hanno trascorso fianco a fianco l’ infanzia e l’adolescenza. Oggi viene a Torino, invitata per i Beatles Days dal vicepresidente e dal presidente dell’associazione Beatlemania, Alberto Pisci e Riccardo Codazza, Stamattina inaugura un giardino intitolato al fratello, alle 18 è al Circolo dei lettori a parlare del suo libro Imagine This. Mio fratello John Lennon, domani pomeriggio presenzierà il Beatles Fest, la grande festa delle cover band alla Suoneria di Settimo Torinese.

Julia, qual è il primo ricordo che ha di John?
«Avevo due anni. Nostra sorella Jackie era appena nata e io ero in piedi sulle ruote della sua carrozzina. Ricordo lei sotto le coperte e lui che mi reggeva da dietro, abbracciandomi».

Lei è rimasta a vivere con vostra madre, John con la zia Mimi. Che cosa capitava quando vi veniva a trovare?
«Durante il giorno stavamo insieme, parlavamo, ascoltavamo canzoni sul giradischi appena acquistato. Lo ricordo, era un His Master Voice di splendida fattura».

Si fermava anche a dormire?
«Sì. Io e Jackie eravamo bambine, ci saremmo imbarazzate a stare nel lettone con lui. Per cui gli cedevo il mio e passavo la notte nella stanza di mia sorella».

Chi introdusse John alla musica?

«Nostra madre. Sapeva suonare il piano, l’ukulele e la fisarmonica. Ricordo mamma e John chiacchierare, bere una tazza di tè dopo l’altra e poi fare i matti suonando i vari strumenti».

John aveva un nomignolo per lei?
«Ju».

Era gelosa delle sue fidanzate?
«Nooo», scoppia a ridere.

Ricorda la prima?
«Ho letto in un’intervista che si chiamava Thelma Pickles, ma non l’ho mai conosciuta».

E la seconda?
«Si chiamava Barbara Baker. Entrambi avevano 16 anni e lui venne a presentarla a mia madre. Mi sembra ancora di essere lì, con mia sorella e i miei amici a dar di gomito dietro l’angolo: “Quella è la nuova ragazza di John!”».

Julia Baird, sorella di John Lennon 

Litigavate mai?
«No. Potevamo avere idee differenti, ma le argomentavamo con civiltà. Ci è sempre stato insegnato così ed è così che ho educato i miei figli».

Le prime prove di John alla chitarra?
«Nel bagno di casa nostra insieme a Paul, che abitava a cinque minuti da noi. Quella stanza gli piaceva perché era piccola e aveva le piastrelle, che creavano un effetto eco, come in una cassa acustica. Loro due dicevano: “Entriamo in studio”».

E voi bambine?
«Origliavamo dalla cucina. Era uno spettacolo. Poi dopo un po’ veniva mia mamma a dirci che era ora di andare in chiesa. Per noi era un grande dispiacere».

I primi concerti?
«Con la sua band, i Quarrymen. Il più spettacolare fu sul retro di un Tir. Ricordo ancora la data: il 6 luglio 1957. Si tenne per celebrare i 750 anni della Carta di Liverpool».

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Cosa capitò?
«Io e Jackie tornavamo da una giornata fuori con mia mamma. Avevamo solo voglia di un bagno e di andare a dormire, ma lei ci disse: “Prima passiamo a Rosemary’s Street a vedere John che suona”. Svoltammo un angolo e ce lo trovammo davanti sul rimorchio. Dopo un’oretta di concerto saltarono su dei ragazzi per prenderlo e portarlo via, anche se non stava facendo niente di male. Dovete intervenire un poliziotto, che ci scortò fino alla fermata dell’autobus».

Oggi lei è presidente onoraria di un’associazione benefica che si chiama Strawberry Field, quasi come la canzone di John.
«L’edificio che ispirò quel brano era un orfanotrofio in cui lui andava a giocare. È rimasto chiuso per lungo tempo, poi l’Esercito della Salvezza l’ha riaperto ed è stata fondata l’associazione. Accompagnamo i bambini disabili fino alla fine degli studi, il 67% di loro ce la fa».

Che effetto le ha fatto nel 2009 vedere suo fratello interpretato da Aaron Johnson nel film “Nowhere Boy”, tratto dal suo libro?
«Pessimo. Quel film stravolge completamente la realtà storica della nostra famiglia».

IL RACCONTO

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E quello che Sam Mendes si appresta a girare?
«Idem. L’altro giorno erano a Liverpool per fare dei sopralluoghi, ma chi li ha mai sentiti? Non gli interessa consultare chi ha vissuto in prima persona i fatti che loro raccontano? Per cui li lascio ai loro giochi, affari loro».