Il diritto all’IVG, l’interruzione volontaria di gravidanza, in Italia è garantito dalla legge 194 del 1978. Eppure, nel 2025, accedere a questo diritto resta un percorso a ostacoli, frammentato, diseguale. Lo racconta il terzo report annuale di Medici del Mondo, presentato ieri alla Camera dei deputati, in occasione della Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro. Il titolo è già una denuncia: “Aborto senza numeri. L’assenza di dati come politica di deterrenza e causa di disuguaglianza”. Ma il documento non si limita alle cifre: raccoglie anche testimonianze dirette, esperienze vissute, voci che raramente trovano spazio nel dibattito pubblico.

La Giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro e i dati che non ci sono
È importante sapere che, ogni anno, il Ministero della Salute è tenuto a presentare una relazione sull’attuazione della legge 194. Succede, però, che la scadenza di febbraio non viene rispettata da decenni: nel 2024, ad esempio, il documento è stato pubblicato solo a dicembre e riportava dati fermi al 2022 e informazioni parziali: numeri aggregati, difficili da leggere, spesso inutili per capire davvero cosa accade nei territori. Insomma, l’IVG, secondo il report, resta fuori dai radar ufficiali. Un blackout informativo che ostacola le scelte consapevoli delle persone e impedisce di valutare la qualità dei servizi. Come sottolinea Elisa Visconti, direttrice di Medici del Mondo Italia, «senza accesso a informazioni chiare, il diritto alla salute e alla scelta restano solo sulla carta. E questo, più che una dimenticanza, è una scelta politica».
Le mappe dal basso che aiutano
A colmare il vuoto istituzionale ci hanno pensato giornaliste, attiviste, associazioni. Il progetto “Mai Dati”, ad esempio, ha ricostruito una mappa dei servizi IVG attraverso centinaia di richieste di accesso civico. I risultati sono desolanti: molte Regioni non hanno fornito i dati o li hanno trasmessi in formati inutilizzabili. La mappa di Obiezione Respinta, invece, che contribuisce al progetto, raccoglie testimonianze dirette e segnalazioni e, proprio da lì, arrivano le testimonianze pubblicate nel report.
Il Report 2025 di Medici del Mondo denuncia un sistema che non garantisce equità né trasparenza (Credits Michele Lapini)
Veneto, Sardegna e Molise: le Regioni che mancano all’appello
Il report dedica un focus a tre territori: Veneto, Sardegna e Molise, raccontando uno scenario del tutto inadeguato. In Veneto, il tasso di obiezione è al 66,6%, con punte dell’86% a Venezia e la rete dei consultori è tra le più carenti d’Italia: una sede ogni 50.000 residenti. In Sardegna, l’82,5% delle IVG avviene entro 14 giorni dalla richiesta, ma in alcune aree oltre la metà delle persone deve spostarsi in altre zone. Il 20,9% degli aborti avviene ancora tramite raschiamento, una percentuale molto superiore alla media nazionale. In Molise, il tasso di obiezione tra ginecologi è del 90,9%. L’accesso all’IVG è garantito solo in due ospedali, con la stessa équipe medica che si sposta tra le strutture.
Una campagna per cambiare l’approccio all’aborto
In questo contesto, si inserisce la campagna “Aborto senza ricovero” dell’Associazione Luca Coscioni, che questo weekend, da oggi fino a domenica 28, porterà tavoli informativi in 30 città italiane. L’obiettivo è chiaro: rendere davvero accessibile l’aborto farmacologico in consultorio o poliambulatorio, permettendo alle donne di assumere il secondo farmaco, il misoprostolo, a casa, come previsto dalle linee guida ministeriali del 2020. Nonostante sia una pratica sicura ed efficace, infatti, solo due Regioni, Lazio ed Emilia-Romagna, la applicano correttamente. Non solo, perché anche i costi cambiano e parecchio: la procedura ambulatoriale, nel Lazio, costa 75 euro. In Veneto, invece, dove l’aborto farmacologico viene gestito in ospedale con ricovero, il rimborso può arrivare a oltre 6.000 euro. Una gran bella differenza. «Sprecare risorse è inaccettabile, così come negare alle donne il diritto di scegliere», ha dichiarato Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione.
Aborto: un diritto diseguale
Secondo i dati del Ministero, nel 2022 solo il 52% delle IVG è stato effettuato con la procedura farmacologica, contro il 79% in Francia e il 90% nei Paesi Scandinavi. Solo tre Regioni, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio, prevedono la somministrazione della RU486 nei consultori, come indicato dalle linee guida ministeriali del 2020. Eppure, il metodo farmacologico è meno invasivo e comporta un risparmio significativo per il sistema sanitario. Ma il problema non è solo tecnico. Come scrive Medici del Mondo, «l’inadeguata disponibilità di informazioni è un problema politico, più che tecnico». E le conseguenze sono concrete: disuguaglianze territoriali, ostacoli burocratici, percorsi frammentati.
Una questione di salute pubblica
Ogni anno, nel mondo, 39.000 donne muoiono a causa di aborti non sicuri. L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo dice chiaramente: garantire informazioni accurate, è il primo passo per garantire aborti sicuri. In Italia, siamo ancora lontani da questo obiettivo. Medici del Mondo lo ribadisce: l’aborto libero e sicuro è un’emergenza di salute pubblica. E per renderlo davvero accessibile, servono dati, trasparenza, investimenti.