Si riallacciano i rapporti tra Roma e Caracas dopo quattro anni di gelo – nonostante ambasciate e consolati operativi – attraverso il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, che ha telefonato alla sua omologa venezuelana, Andrea Corao Faria, per trasmettere i ringraziamenti del governo italiano a seguito della visita consolare dell’incaricato di Affari in Venezuela, Giovanni Umberto De Vito, ai connazionali Mario Burlò e Alberto Trentini, reclusi da più di dieci mesi al maxi-carcere El Rodeo 1, del Distretto capitale. Durante la chiamata – spiega una nota dalla Farnesina – il viceministro ha auspicato il compimento di “ulteriori passi in vista di una soluzione positiva della questione”. La diplomazia accelera, apre alla politica e segna un punto di svolta la liberazione di Trentini, trattenuto senza accuse, di Burlò e degli altri italiani con doppio passaporto dietro le sbarre per ragioni politiche, come nel caso del giornalista Biagio Pilieri. Le loro detenzioni, infatti, si sono verificate in mezzo alle retate post-elettorali dell’estate scorsa, quando Nicolàs Maduro, forte della sua rielezione, non ha incassato il riconoscimento degli Stati Uniti, né dei ventisette Paesi UE.
Fonti della Farnesina confermano a Ilfattoquotidiano.it l’incessante impegno diplomatico per “far uscire al più presto” i connazionali detenuti a Caracas e, nell’attesa, gesti di prossimità come la visita servono a dare loro conforto in una “situazione complessa, anche in termini psichici”. Poche le informazioni autentiche filtrate dalla visita, ma rassicuranti, come le buone condizioni salute di Trentini e Burlò, che godono dell’ora d’aria e si dicono ben alimentati, anche se dimagriti. La chiamata è stata accolta positivamente anche da fonti vicine al cancelliere Gil, che parlano a Ilfatto.it di un “primo vero gesto distensivo, tra due Paesi da sempre vicini e uniti da profondi legami storici”, nell’auspicio che “l’Italia possa ripristinare, al più presto, rapporti cordiali e di cooperazione con il Venezuela”, liberi dalle “interferenze” che spesso “minano l’amicizia tra i popoli”.
Nelle scorse settimane le autorità venezuelane avevano dato segni di apertura attraverso il ministro degli Esteri Yván Gil che, parlando a Cnn ribadiva la disponibilità “a ricevere ogni richiesta” e “valutare caso per caso”. E un funzionario diplomatico venezuelano ha confermato a Ilfattoquotidiano.it l’apertura di Caracas a trattare “sui prigionieri e su altri temi di interesse comune”. Di certo la concessione del governo venezuelano – che un mese fa ha aperto alle prime visite consolari – non è priva di calcoli: Maduro cerca sponde nel Vecchio continente e nei settori moderati dell’amministrazione Trump, dopo l’ennesimo no della Casa Bianca al dialogo con le autorità venezuelane. “Stiamo preparando i decreti di emergenza”, ha ammesso lo stesso Maduro, dopo che il destroyer Jason USS Dunham si è stato avvistato a 50 chilometri dalle coste venezuelane, dicendosi pronto ad “affrontare qualsiasi scenario si presenti”.
Ma non c’è solo la minaccia Usa: pesano anche le pressioni delle Nazioni Unite in materia di diritti umani così come la presa di distanza di Paesi come la Spagna – dopo l’uscita di scena del mediatore José Luis Rodriguez Zapatero, ora indagato – e la Colombia, tradizionalmente vicini al governo di Caracas. Il Paese è inoltre dilaniato da tensioni politiche interne e crisi socioeconomica, nonché dalle recenti scosse di terremoto avvenute il 24 e il 25 settembre.
Centrale la necessità da parte delle autorità italiane di fare buon uso della parola, che più di mezzo secolo fa don Lorenzo Milani definì “la chiave fatata che apre ogni porta”. A tale proposito appaiono fuori luogo, e persino rischiosi, interventi di pancia come quello di Federica Onori, deputata di Azione e segretaria della Commissione esteri, che ha accusato Caracas di “perpetuare la repressione e il controllo sociale” attraverso “pratiche tipiche dei regimi autoritari” e quindi “inaccettabili”. Ergo: c’è un tempo per ogni cosa, anche per denunciare, però gli spiragli della diplomazia sono ben più stretti e fanno presto a chiudersi. Lo sa bene la Santa Sede che, verso la fine dell’Anno Giubilare, esplora la richiesta di gesti di grazia ai prigionieri politici di Caracas, in vista della canonizzazione di José Gregorio Hernández e di Carmen Rendiles. Questa diplomazia umanitaria, si sa, agisce di concerto, e non disgiunta dal lavoro della Farnesina. A sperarci non sono solo i familiari di Alberto, ma anche quelli degli altri italiani ancora in cella. “Porterebbe speranza anche a noi, italo-discendenti, sommersi in una lunga crisi”, ha detto Maria Livia Vasile, moglie di Biagio Pilieri.