Parlare di Marta Bastianelli significa raccontare una delle figure più importanti del ciclismo femminile italiano. Ex campionessa del mondo a Stoccarda nel 2007, atleta delle Fiamme Azzurre, oggi collabora oltre che con il corpo militare della Polizia Penitenziaria anche con la Federazione Ciclistica Italiana come tecnica, mettendo a disposizione esperienza, sensibilità e passione.
Bastianelli è stata molto più di una ciclista vincente: per anni è stata un punto di riferimento per le compagne, un esempio per le più giovani e una voce autorevole per il movimento. La sua carriera è stata segnata da grandi vittorie, sacrifici, scelte di vita importanti come la maternità conciliata con lo sport ad alto livello, e la capacità di restare sempre se stessa, dentro e fuori la bicicletta. In questa intervista ripercorriamo con lei alcune riflessioni sul presente e sul futuro del ciclismo femminile, sulle nuove generazioni e sui ricordi più belli della sua carriera.
Nella crono iridata Reusser si è imposta davanti alle due fuoriclasse olandesi: Van der Breggen, Vollering. Che prova è stata? Ti aspettavi il dominio di Reusser?
“Mi aspettavo sinceramente la vittoria di Marlen. La conosco molto bene e l’ho avuta come compagna di squadra per tanti anni: so quanto vale e quanto abbia lavorato per arrivare a questo livello. Quest’anno ha fatto un salto di qualità enorme e sapevo che un grande successo internazionale prima o poi sarebbe arrivato. La cronometro è la sua specialità, una gara che le appartiene, quindi non mi ha sorpreso vederla davanti. Forse mi aspettavo una Vollering un po’ più vicina, ma va detto che anche Van der Breggen ha disputato una prova davvero ottimale”.
Elisa Longo Borghini può sfatare il tabù della vittoria in maglia azzurra? Il percorso si adatta a lei?
“Il percorso mondiale è cucito su misura per Elisa. Ha fatto un avvicinamento ottimale, con un grande blocco di lavoro in altura, e arriva a questa prova con la condizione giusta e una squadra molto solida a sostenerla. Credo che abbia tutte le carte in regola per sfatare questo tabù e conquistare finalmente un oro iridato in maglia azzurra”.
Molti sostengono che Pauline Ferrand-Prevot, se sarà quella del Tour, sarà difficilmente battibile nella prova in linea: il tuo parere?
“Il Mondiale è una corsa di un giorno, con dinamiche e tensioni completamente diverse rispetto a un Grande Giro. Pauline è una campionessa immensa, non lo scopriamo certo oggi, e avrà le idee molto chiare su come interpretare la gara. Sarà un’avversaria pericolosissima, ma io credo che in questo contesto contino di più le caratteristiche delle specialiste delle Classiche, atlete abituate alle corse di un giorno. Per questo vedo bene Elisa e altre ragazze che sanno leggere e interpretare gare di questo tipo”.
Trinca Colonel e Ciabocco sono i nomi nuovi su cui puntare per il ciclismo femminile italiano?
“Sono due atlete di grandissimo talento. Lo stanno dimostrando con i risultati e con una crescita costante. Hanno entrambe margini di miglioramento notevoli e credo che nei prossimi anni possano togliersi grandi soddisfazioni, diventando punti fermi della nostra Nazionale. Sono il simbolo di una nuova generazione che spinge forte e che fa ben sperare per il futuro del movimento”.
Al di là dell’oro di Stoccarda 2007, qual è stata la tua vittoria più bella?
“Il Mondiale resta ovviamente il traguardo più prestigioso, la maglia che dà più onore a un ciclista, ma ci sono altre vittorie che porto nel cuore. L’Europeo nel 2018, ad esempio, perché arrivava dopo la maternità: tornare a vincere in maglia azzurra in quel momento della mia vita ha avuto un sapore speciale. E poi il Campionato Italiano 2019, vinto sulle strade di casa con la maglia delle Fiamme Azzurre, in una stagione complicata in cui ero reduce da un problema al ginocchio. Non ero partita per vincere, ma per ritrovare fiducia, e invece ho centrato un tricolore che ha avuto un valore enorme, soprattutto perché arrivava mentre ero campionessa europea in carica e davanti al mio pubblico. Una gioia immensa”.
Guardando la tua carriera, hai qualche rimpianto?
“Forse quello di non aver vinto una medaglia olimpica, perché sarebbe stato un sogno coronare così la mia carriera. Ma per il resto rifarei tutto: ogni scelta, ogni sacrificio e ogni vittoria hanno costruito la mia storia. Non ho rimpianti, solo gratitudine per quello che ho vissuto”.
Una ciclista può conciliare il ruolo professionale con quello di mamma?
“Assolutamente sì, questo modo di pensare deve essere sfatato. È certo una sfida, perché richiede organizzazione, sacrifici e soprattutto un grande supporto familiare: il nostro è un lavoro che ci porta lontano da casa per lunghi periodi. Dopo la maternità il corpo cambia e serve un periodo di riassestamento, ma tutto si può fare. Io ci sono riuscita undici anni fa, anche grazie alla stabilità che mi dava appartenere a un corpo militare come le Fiamme Azzurre. Oggi le cicliste hanno tutti i diritti e i doveri delle altre donne lavoratrici, e questo è un passo avanti enorme”.
Oggi in gruppo c’è una ciclista che assomiglia per caratteristiche a Marta Bastianelli?
“Ho sempre rivisto un po’ di me stessa nella Gasparrini. Ha un modo di correre simile al mio e caratteristiche che mi ricordano quelle che avevo da atleta. Con lei ho condiviso tanto tempo e nell’ultimo periodo siamo state molto unite: per lei sono stata quasi una sorella maggiore, e questo legame mi rende orgogliosa. Vedere in lei una continuità mi dà tanta soddisfazione”.