Il 36 per cento degli esami di laboratorio richiesti dai cittadini in Italia (emocromo, glicemia, colesterolo, urine ecc.) si concentra soprattutto nelle strutture private accreditate, il restante è svolto negli ospedali e negli ambulatori pubblici. Soprattutto i privati convenzionati eseguono le analisi del sangue, gli accertamenti diagnostici e la riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale finché ci sono i soldi dei rimborsi. Quando finiscono, al cittadino non resta altro che pagare o rinunciare agli esami.

Questa l’amara verità.

Le Regioni rimborsano a ogni singola struttura le prestazioni erogate ai pazienti sulla base di un budget definito.

Nel pubblico, i direttori generali non ci fanno una gran bella figura se sforano, tuttavia sanno che lo Stato rimetterà le cose a posto; i privati convenzionati una volta raggiunto il tetto di spesa non sono più rimborsati e rischiano di rimetterci in proprio. Una eventualità da evitare scrupolosamente, con buona pace dei cittadini che non possono permettersi di pagare. In barba all’art. 32 della Costituzione italiana che sancisce: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».

Su questo diritto abbiamo costruito uno dei sistemi sanitari migliori al mondo (eravamo primi in Europa e secondi nel nostro pianeta), salvo poi smembrarlo progressivamente negli anni, pentircene e giurare di risanarlo. 

Ed è così che dal novembre dello scorso anno nei centri diagnostici all’esaurimento del tetto di spesa mensile destinato alle esenzioni le analisi di laboratorio divengono a pagamento. I codici esenzione sono specificati per i pazienti con reddito familiare inferiore a euro 36.151,98 sia per i soggetti con più di 6 anni e meno di 65, sia per quelli con meno di 6 anni o più di 65 anni. 

In Campania è prevista una quota fissa regionale di 10 euro per i pazienti non esenti, che si somma al ticket nazionale di 36,15 euro, per un totale di 46,15 euro.

Le ricette dematerializzate hanno la stessa validità temporale delle ricette rosse e sono valide per 30 giorni dalla data di prescrizione fino alla data di presa in carico della prenotazione.

L’impegnativa invece mantiene la sua validità fino al momento dell’erogazione della visita o dell’esame prenotato, anche se l’appuntamento è fissato oltre sei mesi dopo la data della prescrizione.

Ritornando agli esami di laboratorio, e siccome la situazione dell’esaurimento del tetto di spesa mensile si è incancrenita, questa estate si è assistito a scene non degne di un paese civile. Per timore di dover mettere mano al portafogli e pagare di tasca propria, i pazienti ai primi del mese si sono sottoposti ad estenuanti file sotto la canicola estiva e alcuni sono stati colpiti da malore. 

Nel IX Rapporto dell’istituto di ricerca Censis si legge: «Il ricorso alla sanità a pagamento non è l’esito di una corsa al consumismo sanitario inappropriato, ma di prestazioni prescritte da medici che i cittadini non riescono ad avere in tempi adeguati nel Servizio sanitario».

La nostra sanità è gestita a livello regionale e individuare le regioni dove la qualità dei servizi è peggiore serve a capire dove è necessario intervenire e a informare gli elettori di come i governi regionali si comportano. 

GIANCARLO SCARAMUZZO
giancarloscaramuzzo@libero.it