Mancherebbero i “gravi indizi di colpevolezza” per il reato di corruzione, motivo per il quale il Tribunale del Riesame di Milano ha annullato l’ordinanza con cui il gip aveva disposto gli arresti domiciliari per Manfredi Catella, amministratore delegato di Coima. Lo si legge nell’ordinanza. 

“Guardare avanti con entusiasmo”

“Desideriamo ringraziare tutti coloro che ci hanno ampiamente confortato con la propria fiducia e supporto ancor prima di poter disporre di una pronuncia chiarificatrice come quella ad oggi disponibile in merito all’insussistenza delle accuse ipotizzate e alla nostra estraneità rispetto alle medesime” si legge in una nota di Coima a firma di Manfredi Catella, giunta nel pomeriggio di venerdì dopo la pubblicazione delle motivazioni del Riesame.

“L’esperienza vissuta ha contribuito a rafforzare la squadra di Coima che adesso può continuare a lavorare con la serenità di poter guardare avanti con sempre maggiore determinazione ed entusiasmo per le prossime imprese insieme ai nostri partner”.

Le accuse

Catella è indagato per corruzione in concorso con l’architetto Alessandro Scandurra, ex componente della Commissione paesaggio del Comune di Milano, al quale Coima avrebbe affidato incarichi professionali per un totale di 138mila euro. In cambio, per l’accusa, Scandurra avrebbe dovuto piegare le valutazioni della Commissione in favore dei progetti di interesse della società, tra cui il progetto del Pirellino. 

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Il gip aveva individuato gravi indizi di colpevolezza in particolare rispetto a un episodio: la partecipazione di Scandurra a una seduta del 5 ottobre 2023. Per il gip, in quell’occasione l’architetto avrebbe dovuto astenersi dal voto. Inoltre, il giudice aveva individuato in una fattura da oltre 28.500 euro emessa da Scandurra nei confronti di Coima – ritenuta “oggettivamente falsa” per cifre e tempistiche – e nell’incarico di uno studio di fattibilità per lo studentato di via Messina affidato da Coima a Scandurra nel 2023, elementi dimostrativi di corruzione. 

Il Riesame

Tuttavia, per il Riesame manca la prova del patto corruttivo tra i due professionisti. La fattura, spiegano, non è sufficiente a dimostrare la corruzione se riferita ad attività professionali effettivamente svolte e regolarmente documentate. Nel caso concreto, la fattura contestata corrispondeva al compenso previsto da un contratto di due diligence legato all’acquisizione di aree da parte di Coima, mentre l’incarico per lo studentato era giustificato dall’aggiudicazione del lotto e dai tempi fissati dal bando del Ministero. Per i giudici, il gip era arrivato a ritenere l’esistenza dell’accordo corruttivo con un “ragionamento congetturale”, utilizzando il rapporto economico come prova della corruzione e della violazione del dovere di astensione da parte di Scandurra.

Nessuna prova di un “pactum sceleris”

I giudici del Riesame sottolineano che non emergono contatti diretti tra Catella e Scandurra, né conversazioni che facciano pensare a un “pactum sceleris”, l’accordo criminoso, “necessario ai fini dell’accertamento del reato di corruzione propria”. Le chat acquisite agli atti descrivono semmai, spiegano i giudici, rapporti di confidenza tra professionisti e funzionari, a volte impropri, ma non accordi illeciti. Inoltre, la partecipazione di Scandurra alle sedute della Commissione non risulta determinante per il Riesame, né condizionante per il voto finale espresso da un collegio di undici membri. “In conclusione – scrivono i giudici del Riesame – in nessuno dei messaggi rinvenuti e trascritti scambiati tra i soggetti coinvolti nella vicenda in esame, ivi compreso Catella, si coglie alcun riferimento all’esistenza di un patto corruttivo, né si palesa alcuna sollecitazione da parte dei privati affinché Scandurra si adoperasse positivamente coltivando adeguatamente il loro interesse”.