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Mercoledì a Leh, la principale città nella regione indiana del Ladakh, ci sono state grosse proteste per l’autonomia. Centinaia di manifestanti hanno assaltato la sede del principale partito di governo, il Bharatiya Janata Party del primo ministro nazionalista Narendra Modi. La polizia ha disperso i manifestanti usando gas lacrimogeni e sparando; i manifestanti hanno lanciato pietre contro i poliziotti e dato fuoco ad alcune auto della polizia. Quattro manifestanti sono stati uccisi dalla polizia, e almeno ottanta persone sono rimaste ferite. Giovedì le autorità locali hanno imposto il coprifuoco.
Le proteste sono parte di un movimento più ampio che chiede maggiore autonomia dal governo centrale di New Delhi. Fino al 2019 il Ladakh faceva parte dello stato indiano di Jammu e Kashmir, un’area contesa tra India e Pakistan (quindi nel nord dell’India), e dove anche le tensioni tra India e Cina sono cresciute negli anni scorsi. Nel 2019 il governo indiano decise una vasta riorganizzazione amministrativa dello stato di Jammu e Kashmir, per poterlo controllare in modo più efficace (e, secondo molti, anche per marginalizzare i tanti abitanti musulmani). Il governo abolì lo “status speciale” dello stato e lo divise in due: uno continuò a chiamarsi Jammu e Kashmir, e l’altro Ladakh.
L’India è una federazione, e quindi dal punto di vista amministrativo è suddivisa in una serie di stati che hanno un certo grado di autonomia rispetto al governo centrale. Formalmente il Ladakh (così come il Kashmir) non è uno stato ma un “Territorio dell’Unione”: non ha un proprio governo né un proprio parlamento, ed è amministrato da un governatore nominato dal governo centrale indiano.
Dopo il 2019 in Ladakh è cresciuto un movimento autonomista. Chi protesta ritiene che il governo centrale non stia facendo abbastanza per sostenere l’economia e per proteggere l’ambiente e la cultura locali. Il Ladakh si trova in un’area che fa parte del sistema montuoso dell’Himalaya e dove gli effetti del riscaldamento globale stanno creando grossi problemi, per esempio facendo fondere i ghiacciai e aggravando la mancanza d’acqua.
Tra le altre cose gli autonomisti chiedono che il Ladakh venga riconosciuto formalmente come stato federale indiano, cosa che gli permetterebbe di avere un proprio parlamento e un governo eletto dagli abitanti. Chiedono anche che al Ladakh venga estesa una speciale protezione costituzionale, che garantisce alle comunità tribali più potere nella gestione delle risorse naturali.
Le proteste di mercoledì sono state le più grosse degli ultimi anni. Sono iniziate dopo che alcuni attivisti del principale movimento per l’autonomia del Ladakh, il Leh Apex Body, erano stati ricoverati per le conseguenze di uno sciopero della fame iniziato due settimane prima, a favore dell’autonomia. Lo sciopero era guidato da un attivista locale, Sonam Wangchuk, famoso per le proprie rivendicazioni ecologiste.
Wangchuk ha spesso usato gli scioperi della fame come strumento per portare il governo indiano a negoziare. L’anno scorso insieme ad altri attivisti camminò per più di 900 chilometri fino a New Delhi, per chiedere al governo centrale di iniziare a discutere della concessione di maggiore autonomia al Ladakh. Tra il governo indiano e gli autonomisti sono in corso colloqui (il prossimo è previsto per il 6 ottobre), che però finora non hanno dato grossi risultati.