Il direttore sportivo dell’Italia parla di Milan-Napoli e dei due tecnici con i quali ha vinto molto alla Juventus: “Sarà un match in cui regnerà l’equilibrio, sono due squadre molto solide. Modric è un campione, si è rimesso in gioco a 40 anni: farà una stagione importante”
Giornalista
27 settembre 2025 (modifica alle 07:53) – MILANO
Gigi Buffon li conosce benissimo. Perché Antonio Conte e Massimiliano Allegri li ha avuti alla Juventus, nel lungo ciclo di vittorie bianconere. Nessuno meglio dell’attuale ds della Nazionale può raccontare i due tecnici protagonisti di Milan-Napoli.
Buffon, lei è stato compagno di squadra di Conte alla Juve. Com’era Conte come giocatore?
“Era uno di quei calciatori imprescindibili perché abbinava la bravura tattica e l’istinto per il gol con gli inserimenti. In più, anche se taciturno, insieme ad altri due-tre era l’anima dello spogliatoio”.
Quando nel 2011 è tornato a Torino per allenare la Juventus, cosa l’ha colpita di lui?
“La determinazione feroce che aveva e la chiarezza nella trasmissione dei concetti”.
C’è una frase di Conte che le è rimasta in mente?
“In una delle prime riunioni, forte del suo sapere calcistico e della sua preparazione, ci disse: ‘Questo tipo di giocate si fa in questo modo. Se avete dei dubbi me li chiedete e vi darò la spiegazione, le risposte che cercate. Se non ve la darò, significa che vi sto prendendo in giro e questo non accadrà mai'”.
Per Conte, aver vinto con la Juve, quanto è stato importante per trasmettere a un gruppo reduce da due settimi posti il dna bianconero?
“È stato determinante perché si parla di un uomo che ha vissuto una certa epoca con la Juve. Un periodo fatto di grandi successi che erano caratterizzati dal valore dei giocatori, ma anche dalla capacità di soffrire in determinati momenti. Dall’avere un’attitudine al lavoro che esce dai canoni comuni”.
Quell’attitudine al lavoro l’ha trasferita alla squadra soprattutto durante la preparazione estiva.
“Caspita quanto lavoravamo…”.
C’è un particolare grazie al quale ha capito che Conte sarebbe diventato un grandissimo allenatore?
“Nel 2005-06, a tre giornate dalla fine, abbiamo vinto a Siena e Antonio era il secondo del Siena. A fine incontro mi sono fermato a parlare una decina di minuti con lui e quando l’ho salutato mi sono detto: ‘Questo o lo rinchiudono (ride, ndr) o diventa uno dei più importanti allenatori nella storia del calcio’. È successa la seconda cosa”.
Dei tre suoi scudetti juventini, in quale Conte ha inciso di più?
“Ha inciso in tutti perché non è scontato quel tipo di continuità. Lui ce l’ha fatta avere e non abbiamo mai perso la fame. Ciò premesso, il lavoro svolto il primo anno è stato qualcosa di incredibile”.
Conte l’ha ritrovato in Nazionale. Che ct è stato?
“Era meno intransigente rispetto a quando quotidianamente lavoravi con lui nel club. Doveva per forza essere un po’ più morbido perché è complicato plasmare e forgiare in pochi giorni una squadra che ha più anime in arrivo da club diversi. Capire come far rendere tutti al massimo non è facile. La qualità di Antonio è la capacità di far aderire a tutto ciò che propone il mondo attorno a lui, dai giocatori ai dirigenti passando per i tifosi. La sua è stata una delle poche nazionali non vincenti che è stata veramente nazional-popolare. Il rammarico è non aver passato un turno in più ed essere usciti ai quarti dalla Germania. Viste le assenze contro la Francia, probabilmente in semifinale avremmo comunque perso. Diciamo che siamo usciti con onore”.
Allegri è arrivato a Torino nell’estate 2014, dopo l’addio di Conte. Prime impressioni su di lui?
“Ci siamo trovati di fronte un allenatore con una personalità e una metodologia differenti. Conoscendo meno di Conte il mondo della Juventus, aveva bisogno di aiuto e sostegno da parte di tutte le componenti perché l’inserimento fosse immediato. Ha avuto il coraggio di prendere la squadra in corsa visto che la stagione era già iniziata, anche se da poco, e ha subito mostrato di essere molto bravo”.
Cosa ha dato ad un gruppo reduce da tre scudetti di fila che con Max ha vinto altri cinque tricolori, varie coppe e raggiunto due finali di Champions?
“Quella sfacciataggine che in certi momenti alla squadra fa molto bene per superare determinati limiti e step. E poi ci ha restituito una routine più soft durante gli allenamenti e la settimana. Probabilmente sono stati degli ingredienti perfetti per allungare il ciclo e vincere ancora”.
Una frase di Allegri che le è rimasta in mente?
“Vi racconto due aneddoti: il primo è legato alla Champions League e allo 0-0 a fine primo tempo della prima gara del girone del 2014-15 contro il Malmö. Entrò nello spogliatoio e ci vide in affanno, così ci disse di stare sereni perché giocando a calcio, quella gara l’avremmo vinta 3-0 o con almeno due gol di scarto. Le sue parole ci liberarono da complessi e dal peso che la Champions aveva sul gruppo complici le delusioni delle stagioni precedenti. Alla fine, vincemmo 2-0 (doppietta di Tevez, ndr)e per lo spogliatoio fu un toccasana sentire che allenatore diceva quelle cose. Il secondo aneddoto invece è legato a qualcosa che ha fatto: aveva sempre giocato con la difesa a quattro, ma arrivato a Torino non ha stravolto nulla. I cambiamenti li ha fatti con il passare del tempo, dimostrando intelligenza”.
Dei quattro scudetti che lei ha vinto con Allegri, in quale Max ha “inciso” di più?
“In quello del 2015-16: dopo dieci giornate avevamo undici punti di distacco dalla vetta e Allegri, insieme alla società e a noi giocatori, è stato veramente bravo a tenere la barra dritta. A fine anno festeggiammo lo scudetto, ma all’inizio, in certi momenti, ci era mancata l’aria. Eppure abbiamo resistito ottenendo un numero impressionante di vittorie consecutive, qualcosa di davvero grande”.
Allegri e Conte sono gli allenatori italiani in attività che hanno conquistato più scudetti. Al di là del feeling con la vittoria, c’è altro che li accomuna?
“La bravura nella gestione del gruppo. Hanno sempre fatto scelte giuste per il momento della squadra pur usando moduli, tipologie di allenamenti e approcci assai diversi”.
Anche la solidità difensiva è tipica di entrambi.
“Avere squadre equilibrate è il comun denominatore. Hanno creato gruppi compatti, due formazioni che in fase di non possesso lavorano bene”.
Si aspettava che il Napoli e il Milan partissero così forte in questo campionato?
“Sicuramente il Napoli. Poteva essere scontato solo per chi guarda da fuori, visto che nel calcio è sempre dura dimostrare e confermarsi. Grazie all’avvento di Allegri, ad agosto consideravo il Milan nei primi tre posti e sta confermando questa mia sensazione”.
Che partita si aspetta domenica a San Siro?
“Un incontro nel quale regnerà l’equilibrio. Penso che ci saranno pochi gol perché sono due squadre molto solide al di là delle due reti subite sia dal Napoli con il Pisa sia dal Milan con la Cremonese. Ma questo non vuol dire che il match non possa essere bellissimo e avvincente”.
Modric e De Bruyne possono essere decisivi?
“Sono due campioni. Mi fa particolarmente piacere che Modric si stia esprimendo alla grande perché lo conosco e anche io in passato ho fatto la sua scelta, ovvero cambiare campionato a un’età avanzata, per ritrovare determinati stimoli ed energie. Al di là dei discorsi e dello scetticismo della gente, mi sentivo forte come cinque anni prima e l’ho dimostrato. Lui sta facendo lo stesso: Modric con una partita alla settimana può disputare una bellissima stagione”.
Chiudiamo con suo figlio Louis che giovedì ha fatto il suo debutto nel Pisa giocando in Coppa Italia. Lo confessi: si è emozionato vedendolo?
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“Sono felicissimo per lui. Se lo merita per il percorso che sta facendo e la determinazione e serietà che mette nelle cose fa. Purtroppo o per fortuna, non si è giocatori facendo 30 minuti in Coppa Italia: lui lo sa e deve sempre tenerlo a mente”.
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