Un convegno per ripensare i modelli di cura
All’Università di Udine si è aperto il convegno “Salute mentale e medicina: percorsi di cura e integrazione”, un appuntamento che fino al 27 settembre riunisce medici, psichiatri, ricercatori e operatori sanitari per discutere di come affrontare le fragilità in maniera più completa e coerente con la realtà odierna. L’iniziativa, promossa dal Dipartimento di Medicina dell’Ateneo friulano e dalla Clinica psichiatrica dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale, con la collaborazione della Società italiana di medicina dell’adolescenza, vuole rompere gli schemi di una tradizione che per decenni ha tenuto separati corpo e mente, creando compartimenti stagni spesso incapaci di rispondere alla complessità delle persone.
In apertura dei lavori, l’assessore regionale alla Salute e alle politiche sociali Riccardo Riccardi ha voluto sottolineare il valore di questo passaggio: «Ringrazio l’Università per avere avuto il coraggio di rimettere al centro del dibattito l’integrazione, perché continuare a ragionare in verticale è un errore che la realtà quotidiana smentisce di continuo».
Salute mentale e responsabilità condivisa
L’assessore ha richiamato anche le recenti vicende di cronaca che hanno alimentato polemiche e accuse nei confronti degli operatori sanitari: «Episodi eclatanti hanno suscitato reazioni spesso ingiuste, scaricando responsabilità sul personale. Oggi abbiamo invece l’occasione per riconoscere il loro impegno e la professionalità con cui affrontano situazioni difficili, giorno dopo giorno».
Il tema della salute mentale viene così inquadrato non come settore isolato, ma come parte integrante della medicina e delle politiche sociali. Disturbi dell’adolescenza, comorbidità nell’età adulta, prevenzione e innovazione organizzativa saranno al centro delle giornate di studio, con un’attenzione particolare alla necessità di costruire percorsi di cura interdisciplinari.
Il messaggio che arriva da Udine è chiaro: senza un cambiamento culturale e organizzativo che sappia mettere in rete competenze diverse, la sanità rischia di non essere pronta ad affrontare una domanda destinata a crescere. Non si tratta soltanto di risorse, ma di un nuovo modo di intendere la cura, che restituisca centralità alla persona e non alla patologia.