I bilanci del secondo trimestre dell’anno evidenziano l’impatto delle barriere tariffarie introdotte dal presidente americano sui veicoli importati negli Usa
Emilio Deleidi
28 luglio 2025 (modifica alle 09:07) – MILANO
Con la diffusione dei primi bilanci semestrali del 2025 o, quanto meno, dei dati preliminari si incomincia a capire quanto i dazi introdotti dal presidente americano Donald Trump possano fare male all’industria automobilistica europea e asiatica. Al di là dell’annuncio dell’accordo tra Usa e Ue trovato in Scozia per dazi al 15%, che includono anche le auto, fin qui le auto importate (così come i componenti meccanici) negli Usa sono soggette a un dazio del 25%, più un 2,5% preesistente. A farne le spese sono soprattutto i costruttori più esposti sul mercato statunitense, costretti a scegliere tra il mantenimento dei prezzi ai consumatori (con conseguente drastica riduzione dei margini di guadagno) o un incremento dei listini, con l’inevitabile perdita di competitività commerciale e riduzione dei volumi di vendite. Le tariffe statunitensi si aggiungono a numeri di mercato in calo e soprattutto agli enormi costi che le aziende stanno affrontando oramai da un lustro per la transizione tecnologica. Insieme producono un combinato disposto che pesa non poco sui conti dei gruppi automobilistici.
il crollo volkswagen—
Nei primi sei mesi del 2025 il gruppo Volkswagen non ha sofferto particolarmente nelle vendite, avendo immatricolato 4,36 milioni di veicoli nel mondo contro i 4,34 dello stesso periodo del 2024, né ha risentito in maniera eclatante della congiuntura internazionale in termini di fatturato, risultato pari a 158,4 miliardi di euro, contro i precedenti 158,8. A crollare del 33% è stato però il risultato operativo, sceso da 10 a 6,7 miliardi di euro, con un margine operativo del 4,2%. I motivi di questa dinamica sono spiegati chiaramente dal gruppo stesso, le cui vendite sono aumentate del 19% in Sud America e del 2% in Europa, ma sono diminuite del 3% in Cina e, soprattutto, del 16% in Nord America. Il gruppo Volkswagen dichiara che i maggiori costi legati ai dazi americani sono stati in questa fase pari a 1,3 miliardi di euro; gli altri costi che hanno inciso sul risultato operativo sono legati a voci come le spese relative alla normativa sulle emissioni, alla ristrutturazione di Audi, Volkswagen e Cariad (la società di software del gruppo, oggetto di un programma di trasformazione che ne ha portato il risultato operativo in passivo per 1,2 miliardi di euro) e derivanti dalla quota più alta di veicoli completamente elettrici venduti, che comporta margini inferiori. Secondo il report del gruppo, senza i dazi e i costi di ristrutturazione il margine operativo sarebbe stato del 5,6%; la previsione per la fine dell’anno si colloca in una forchetta tra i 4 e il 5%, contro la precedente del 5,5-6,5%, a seconda proprio della permanenza di dazi statunitensi del 27,5% o della loro auspicata riduzione al 10%.
renault meno esposta—
Quanto sia importante la componente dei dazi Usa nei bilanci di un grande gruppo automobilistico lo si capisce anche esaminando i dati finanziari preliminari (le cifre precise saranno rese note il 31 luglio) di un’azienda come Renault, assente dal mercato nordamericano. La casa francese chiude il primo semestre con un fatturato di 27,6 miliardi di euro, in crescita del 2,5% e con un margine operativo del 6%, nonostante una performance in giugno caratterizzata da volumi leggermente inferiori alle attese soprattutto nel canale dei clienti privati e in quello dei veicoli commerciali leggeri, in forte ribasso sui mercati europei. Il quadro generale induce il gruppo Renault a prevedere per l’intero 2025 un margine operativo circa del 6,5%, in leggera contrazione rispetto al 7% precedente, con un flusso di cassa tra 1 e 1,5 miliardi di euro contro i 2 miliardi precedenti. Ma sono riduzioni considerate accettabili dal management del gruppo, orfano com’è noto di Luca de Meo, sostituito ad interim dall’ex direttore finanziario Duncan Minto, alla luce di una politica commerciale che “dà la priorità alla creazione di valore piuttosto che ai volumi”. Niente maxi-sconti e riduzione dei margini sulle vendite per rincorrere quote di mercato più alte, insomma, ma piuttosto un piano di riduzione dei costi, sia generali e amministrativi, sia relativi alla produzione e alla ricerca e sviluppo. Poi, naturalmente, la parola d’ordine, come ormai per tutti i costruttori, è “flessibilità”, ossia capacità di offrire ai consumatori un ampio ventaglio di scelte tra soluzioni tecnologiche diverse, con motorizzazioni puramente termiche, ibride e solo elettriche, così da far fronte ai ritmi differenziati della transizione energetica sui diversi mercati europei. Un quadro nel quale la parola dazi neppure compare, né suscita particolari timori.
i guai di stellantis—
Anche per il gruppo italofrancese, ora guidato da Antonio Filosa dopo l’uscita di Carlos Tavares, bisognerà attendere il 29 luglio per avere un bilancio preciso, ma i dati preliminari sono eloquenti. Nel secondo trimestre 2025, le consegne Stellantis sono state pari a 1,4 milioni di unità, con una flessione del 6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; ciò comporta per il primo semestre 2025 entrate nette pari a 74,3 miliardi di euro, con una perdita operativa netta di 2,3 miliardi. A incidere sul risultato sono stati certamente i costi dell’andamento altalenante della transizione ecologica, stimati in “3,3 miliardi di euro di oneri netti al lordo delle imposte, principalmente legati ai costi per la cancellazione di programmi e alla svalutazione di piattaforme, all’impatto netto della recente normativa che elimina la sanzione prevista dal regolamento Cafe (Stati Uniti) e alle ristrutturazioni”. A tutto questo però si aggiungono i primi effetti dei dazi statunitensi, valutati in 300 milioni di euro di importi netti finora sostenuti, ma con una previsione di 1-1,5 miliardi per l’intero 2025), cui si aggiungono le perdite di produzione già programmata, “legate all’attuazione del piano di risposta dell’azienda”. Stellantis, per esempio, ha infatti fermato la fabbricazione della Dodge Hornet a Pomigliano, essendo il modello diventato troppo oneroso da esportare negli Usa, e introdotto altre pause di produzione dovute alle imposizioni dei dazi Usa. In Nord America, infatti, le consegne sono diminuite nel secondo trimestre del 2025 di 109 mila unità (passando da 431.000 a 322.00 veicoli), con un calo del 25% su base annua, a causa di diversi fattori come la riduzione della produzione e della spedizione di veicoli importati negli Usa.
crisi coreana—
Se per altri costruttori europei come Bmw e Mercedes bisognerà attendere ancora qualche giorno per avere i dati finanziari relativi al secondo trimestre di quest’anno, ci sono altre case che hanno già lanciato un allarme relativo ai dazi. Il gruppo Hyundai-Kia, per esempio, ha registrato un utile operativo di 2,64 miliardi di dollari, in calo del 16% rispetto al periodo aprile-giugno del 2024, stabilendo in oltre 606 milioni di dollari l’impatto sui propri conti dei dazi statunitense (e prevedendo un rialzo di questo valore nel terzo trimestre). Anche le importazioni dalla Corea sono attualmente gravate da un dazio del 25%, contro il 15% che Trump ha imposto su quelle giapponesi in base a un accordo recentemente raggiunto. Più del 40% delle entrate del gruppo coreano, del resto, derivano dal mercato statunitense e due terzi dei suoi veicoli venduti negli Usa sono importati.
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paradosso americano—
A soffrire dei dazi imposti dal presidente degli Stati Uniti è, paradossalmente, una delle grandi case americane, la General Motors, il cui utile è crollato del 35% nel secondo trimestre del 2025 anche a causa di un impatto dei dazi pari a 1,1 miliardi di dollari. GM, infatti, produce molti dei suoi modelli fuori dagli Usa, in particolare in Canada e Messico, e questo potrebbe comportare, secondo le previsioni, un impatto lordo annuale dei dazi stimato tra i 4 e i 5 miliardi di dollari. Mary Barra, Ceo della GM, ha però annunciato in una lettera agli azionisti l’intenzione d’investire 4 miliardi di dollari negli stabilimenti americani dell’azienda così da potervi produrre due milioni di veicoli all’anno, riducendo almeno del 30% l’impatto dei dazi che gravano sulle importazioni.
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