La centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia, l’impianto più grande d’Europa sotto occupazione russa dal marzo 2022, ha registrato una nuova interruzione di corrente esterna, la decima dall’inizio dell’occupazione russa. Ma stavolta si sono ormai superati i quattro giorni, un record che aumenta le preoccupazioni internazionali. L’interruzione di corrente è iniziata alle 16:56 di martedì, quando l’ultima linea elettrica che conduce all’impianto è stata tagliata sul lato russo. Operazioni che, secondo Kiev, preludono al tentativo di collegare l’impianto alla rete russa: “Stanno rubando la centrale”. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) ha già espresso forte timore. Il direttore generale Rafael Grossi ha affermato che l’incidente “sottolinea ancora una volta l’estrema fragilità della situazione di sicurezza nucleare presso la centrale”. Dopo la disconnessione, sono entrati in funzione i generatori diesel di emergenza. Grossi ha ribadito che “ogni interruzione di corrente rappresenta un rischio reale per la sicurezza nucleare e aumenta la probabilità di un incidente nucleare”. L’Aiea aveva precedentemente avvertito che la perdita di linee elettriche esterne rimane uno dei rischi più gravi, nonostante i serbatoi dei generatori diesel fossero stati recentemente riforniti con scorte sufficienti per circa 20 giorni di funzionamento. Grossi ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin e altri leader, ma secondo l’Aiea la situazione resta estremamente fragile.
A confermare l’interruzione dell’unica linea di trasmissione elettrica attiva è anche il ministero dell’Energia ucraino, sottolineando che l’occupazione russa rappresenta “la principale minaccia al funzionamento sicuro della centrale nucleare” e ricordando “i bombardamenti russi e i danni alle infrastrutture energetiche”. Il ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha accusa Mosca dei blackout per cercare di “rubare la centrale”. Sybiha dichiara che “la Russia ha costruito centinaia di chilometri di linee elettriche in preparazione di un tentativo di appropriarsi dell’impianto, collegarlo alla rete e riavviarlo”. Secondo il ministro, il tentativo di riconnessione “potrebbe essere il peggiore finora, comportando i rischi maggiori”. Come riportato dal Guardian, gli esperti di Greenpeace hanno analizzato immagini satellitari che mostrano la costruzione di nuove linee elettriche collegate alla rete russa: le stime parlano di circa 90 km già installati, mentre altre fonti rilanciate dai media internazionali parlano di 200 km di linee. L’integrazione del sito nella rete russa, secondo Greenpeace, sarebbe già “in una fase avanzata”. Secondo l’oranizzazione, “gli occupanti russi hanno costruito una diga attraverso un canale di ingresso nel sito della centrale durante l’estate, al fine di creare una fonte d’acqua più piccola e più sicura”. Per gli specialisti nucleari di Greenpeace ci sarebbe già abbastanza acqua da permettere alla Russia di riavviare uno dei sei reattori.
A innescare le maggiori preoccupazioni è proprio la ripetuta e prolungata interruzione dell’alimentazione elettrica esterna. Sebbene i sei reattori siano attualmente in stato di arresto freddo per motivi di sicurezza, richiedono comunque un apporto costante di elettricità per alimentare i sistemi di raffreddamento. Questa energia serve a rimuovere il calore di decadimento prodotto dai prodotti di fissione radioattivi presenti nel combustibile, un processo che continua anche dopo lo spegnimento della reazione a catena perché la riduzione del calore è graduale e richiede tempo. In termini di sicurezza, la funzione base di un reattore è, tra le altre, proprio quella di raffreddare il combustibile e contenere le sostanze radioattive. Se i generatori di emergenza dovessero fallire o esaurire il carburante (che sarebbe attualmente sufficiente per circa 20 giorni), il combustibile nucleare nei sei reattori si riscalderebbe in modo incontrollabile, portando, nel giro di settimane, a una fusione del nocciolo. Uno scenario verificatosi in forma accelerata a Fukushima nel 2011, dove la perdita di energia elettrica portò al mancato pompaggio di acqua di raffreddamento a causa di uno tsunami, causando la fusione di tre noccioli in appena tre giorni.
Il tentativo russo di collegare la centrale alla rete russa e di riavviare almeno un reattore, come temono vari osservatori, pone ulteriori incognite. Secondo l’Aiea, “al momento non esistono le condizioni per riavviare la centrale in sicurezza”. E il riavvio di qualsiasi reattore in tempo di guerra, con la centrale al centro di una zona di conflitto, sarebbe un evento senza precedenti. Sebbene l’industria nucleare, secondo la World Nuclear Association, avrebbe storicamente dimostrato che il rischio di incidenti rimane basso, con solo due casi maggiori (Chernobyl e Fukushima) “in oltre 18.500 anni-reattore cumulativi”, queste statistiche possono essere applicate solo a operazioni in condizioni di pace, con una robusta cultura della sicurezza e un approccio di “difesa in profondità”. Al contrario, la possibilità che la Russia cerchi attivamente di riavviare la centrale per collegarla alla sua rete rappresenta un pericolo. Secondo l’ENTSO-E, l’associazione europea dei gestori di rete elettrica, scollegare la centrale dalla rete ucraina e collegarla a quella russa richiede procedure delicate, dallo spegnimento controllato al riavvio delle unità, che devono garantire sincronizzazione di frequenza e tensione. Avvertendo che, nel contesto bellico, con personale sotto stress e infrastrutture danneggiate, ogni errore può compromettere i sistemi di protezione e i circuiti ausiliari, aumentando i rischio di gravi malfunzionamenti.