Dal 26 settembre 2025 al 25 gennaio 2026, Firenze celebra uno dei suoi figli più illustri con una retrospettiva che lascerà il segno: Beato Angelico, allestita tra Palazzo Strozzi e il Museo di San Marco. Un progetto imponente, frutto di oltre quattro anni di preparazione, curato da Carl Brandon Strehlke, con Stefano Casciu e Angelo Tartuferi, che riunisce più di 140 opere tra dipinti, disegni, miniature e sculture, provenienti dai più importanti musei del mondo: Louvre, Metropolitan Museum di New York, Gemäldegalerie di Berlino, Rijksmuseum di Amsterdam, Musei Vaticani, National Gallery di Washington, Alte Pinakothek di Monaco. È la prima grande monografica dedicata a Fra Giovanni da Fiesole, meglio conosciuto come Beato Angelico, esattamente a settant’anni dalla memorabile rassegna del 1955, e rappresenta non solo un’occasione espositiva irripetibile, ma un vero snodo critico e storiografico.

beato angelicoBeato Angelico, Pala di Bosco ai Frati. Tavola principale: Madonna col Bambino in trono, e i santi Antonio di Padova, Ludovico di Tolosa, Francesco d’Assisi, Cosma, Damian e Pietro Martire. Predella: Santi Domenico, Bernardino da Siena e Pietro; Cristo in pietà; Santi Paolo, Girolamo e Benedetto, 1450-1452. Tempera su tavola, cm 174 × 174(tavola principale); cm 26 × 174 (predella). Firenze, Museo di San Marco, inv. 1890, nn. 8503, 8507. Photo credits: Su concessione del Ministero della Cultura – Direzione regionale Musei nazionali Toscana – Museo di San Marco

Nato come Guido di Pietro a Vicchio di Mugello intorno al 1395 ed entrato nell’ordine domenicano con il nome di Fra Giovanni, Angelico visse nel pieno del Quattrocento, un secolo che trasformò in profondità il volto della cultura italiana in tutte le sue declinazioni. L’ordine domenicano, fondato da San Domenico di Guzmán (1170-1221), si distingueva per lo studio della filosofia e della teologia come strumenti principali per diffondere la fede. La predicazione si accompagnava alla conoscenza, e non a caso da quell’esperienza nacquero figure come Tommaso d’Aquino (1225-1274), che rinnovò completamente la riflessione teologica medievale. In quel contesto, la ricerca di Angelico assunse un valore speciale, il suo linguaggio figurativo divenne una forma di meditazione e insegnamento. Intorno a lui, l’Italia viveva un tempo di svolta epocale. Le signorie da Milano a Mantova, da Ferrara a Urbino utilizzavano l’arte come mezzo di potere e rappresentazione. A Firenze, la guida degli Albizi lasciò il posto all’ascesa dei Medici, che seppero unire ricchezza economica e visione politica con una committenza artistica senza precedenti. Chiese, conventi e palazzi commissionati dalla famiglia medicea ospitarono capolavori destinati a cambiare il corso dell’arte, facendo della città un laboratorio in evoluzione perpetua.

beato angelicoBeato Angelico, Annunciazione, 1443 circa, affresco. Firenze, Museo di San Marco, dormitorio, corridoio nord. Photo credits: Su concessione del Ministero della Cultura – Direzione regionale Musei nazionali Toscana – Museo di San Marco

Lo stile del gotico internazionale, con i suoi fondi dorati, le figure esili e gli scenari preziosamente decorati, esprimeva ancora il gusto gentile delle corti europee. Ma i giovani artisti fiorentini scelsero un’altra via. Masaccio (1401-1428), Donatello (1386-1466) e Filippo Brunelleschi (1377-1446) studiarono la natura e il corpo umano, riscoprirono i modelli antichi e inaugurarono la prospettiva lineare. Le figure acquisirono peso e volume, le architetture si aprirono al mondo esterno, la pittura accolse la luce e la realtà osservata. Questa rivoluzione artistica correva parallela a una rivoluzione intellettuale. Umanisti come Coluccio Salutati (1331-1406) e Leonardo Bruni (1370-1444) recuperarono i testi classici, affermarono l’uomo come misura del mondo e costruirono un nuovo pensiero civile. Per questo motivo, come sottolineano anche gli studiosi coinvolti nel progetto, si assiste a un vero fiorire delle annunciazioni. Il tema, pilastro del Rinascimento, incarna l’istante in cui l’eterno irrompe nel tempo, il momento in cui Dio parla all’uomo e Maria diventa ponte tra cielo e terra. È qui che la spiritualità si fa corpo, parola, storia riassumendo simbolicamente il nuovo sguardo sulla fede e sull’uomo, fondato sull’incarnazione, sull’intimità del sacro e sulla presenza del divino nel quotidiano.

Beato Angelico, Cristo deriso, la Vergine e san Domenico, 1438-1439 circa, affresco. Firenze, Museo di San Marco, dormitorio, corridoio est, cella 7. Photo credits: Su concessione del Ministero della Cultura -Direzione regionale Musei nazionali Toscana – Museo di San Marco

In quegli anni, Firenze sperimentava un’energia feconda, in cui filosofia, teologia, politica e arti visive si intrecciavano e si rispecchiavano a vicenda. Fra Angelico partecipò a quel fermento con una voce personale e inconfondibile, capace di fondere con naturalezza i due mondi che si stavano sovrapponendo. Del Gotico ereditò la grazia lineare delle figure, la delicatezza del tratto, l’uso dell’oro nei cieli; del Rinascimento, accolse la scoperta della prospettiva, orientandosi a una nuova concezione dello spazio, della luce e del racconto.

Giorgio Vasari lo descrisse come un uomo “umanissimo” e “castissimo”, profondamente votato alla vita monastica e all’arte sacra. Ne sottolineò l’umiltà, la modestia, la devozione assoluta, ricordando come sostenesse che «chi fa cose di Cristo deve sempre stare con Cristo». Tuttavia, non rese giustizia alla sua straordinaria sensibilità cromatica, capace di generare atmosfere sospese e spirituali come poche altre prima e dopo di lui. Nei suoi affreschi, c’è un chiarore diffuso che pare discendere da un altrove, e toni diafani, mai inclini al compiacimento decorativo, che costruiscono una dimensione mistica sorpassando il dato realistico. In alcune sue soluzioni formali, come nei fondi dorati o nei panneggi, si intravede perfino una componente astratta, le figure si fanno ritmo visivo, pura superficie, talvolta macchie, anticipando una forma di astrazione moderna.

Beato Angelico, exhibition views, Palazzo Strozzi e Museo di San Marco, Firenze, 2025. Photo: Ela Bialkowska, OKNO Studio

La sua biografia attraversa Fiesole, Firenze e Roma, in dialogo costante con i protagonisti dell’epoca: Masaccio, Brunelleschi, Donatello, Lorenzo Ghiberti (1378-1455), Michelozzo (1396-1472), Luca della Robbia (1400-1482), Filippo Lippi (1406-1469). La mostra lo posiziona in questa rete di relazioni, al centro della cultura figurativa del suo tempo.

A Palazzo Strozzi il percorso evidenzia le tappe decisive della sua carriera, dagli esordi ancora condizionati dal tardogotico, con l’influenza di Lorenzo Monaco (1370 ca. –1425), alla maturità delle grandi pale d’altare, fino ai soggiorni romani presso papa Eugenio IV (1383-1447) e Niccolò V (1397-1455). Al Museo di San Marco l’opera torna invece nei luoghi per cui fu ideata: il convento voluto da Cosimo de’ Medici e progettato da Michelozzo, che custodisce la più vasta collezione al mondo di Angelico. Giovanni da Fiesole visse qui a partire dal 1438 e fu proprio in questo convento che affrescò celle, corridoi e ambienti comuni, concependo ogni intervento come strumento di meditazione per la vita spirituale dei frati. L’esposizione permette questa dimensione grazie a un’ampia campagna di restauri che ha ridato leggibilità a quasi trenta lavori, ricomposto pale disperse, offerto confronti inediti tra tavole lontane e ora nuovamente vicine. La monumentale Pala di San Marco, smembrata nel Seicento, torna a mostrarsi ricostruita nelle sue parti principali, insieme alle predelle che narrano le vite dei santi.

Beato Angelico, exhibition views, Palazzo Strozzi e Museo di San Marco, Firenze, 2025. Photo: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Per comprendere la modernità di Angelico ci viene in aiuto la lezione di Georges Didi-Huberman (Saint-Étienne, 1953) nel suo saggio sull’Angelico dove la grandezza maggiore non risiede nella somiglianza assoluta, ma al contrario, nella dissomiglianza. Le aure che brillano, i cieli irreali, le architetture sospese testimoniano delle strategie consapevoli. Servono a ricordare che l’immagine sacra non è illusione, ma allusione a ciò che sfugge allo sguardo. Visitare Beato Angelico significa attraversare due tipi di Firenze: quella del Rinascimento, tra prospettiva e pensiero, e quella interiore di un frate che fece della pittura una forma di preghiera. Significa, soprattutto, incontrare una delle visioni più belle che l’arte ci abbia lasciato.

Beato Angelico, exhibition views, Palazzo Strozzi e Museo di San Marco, Firenze, 2025. Photo: Ela Bialkowska, OKNO Studio