La Parigi della Belle Epoque al museo dell’Innocenti di Firenze con una mostra dedicata al pittore e illustratore Henri de Toulouse Lautrec in programma da domani al 22 febbraio.
    ‘Toulouse-Lautrec. Un viaggio nella Parigi della Belle Epoque’, il titolo dell’esposizione che raccoglie 100 opere dell’artista francese, dalle litografie a colori ai manifesti, tra cui le più famose Jane Avril, Troupe de Mademoiselle Eglantine, Aristide Bruant nel suo cabaret, in una scenografia d’epoca con arredi originali, oggetti storici, materiali d’archivio e opere di altri artisti dell’Art nouveau. Alcune opere sono un prestito della collezione Wolfgang Krohn di Amburgo, altre dal museo Toulouse Lautrec di Albi.
    Organizzata da Arthemisia, l’esposizione si apre con un racconto di come il manifesto sia diventato simbolo di un’epoca, non più solo strumento pubblicitario: nel vivace periodo della Belle Epoque, le illustrazioni contribuirono a far uscire l’arte dalle gallerie. In mostra poi la rivoluzione tecnologica, dal bianco e nero al trionfo del colore, cavalcata proprio da Toulouse Lautrec che disegnava direttamente sulla pietra litografica per far brillare meglio i soggetti. Focus anche sulla ‘giapponofilia’ della Parigi di fine secolo, ovvero la passione degli artisti dell’epoca per le colorate xilografie giapponesi, che contribuirono a dare forma alla nuova estetica del periodo.
    La mostra prosegue con oggetti del periodo Art nouveau, come le lampade dalle forme floreali e i vasi di vetro colorato. Tra una sala e l’altra c’è anche la riproduzione di un cafè-concerto parigino, con tavolini e palco per le esibizioni. Proprio molti dei protagonisti delle notti parigine sono in mostra nei ritratti di Toulouse Lautrec. In esposizione c’è gran parte del percorso creativo dell’artista, nato nel 1864 da una famiglia aristocratica francese, ma votato all’arte fin da giovane. “Il manifesto, nient’altro conta”, soleva dire, collocandosi tra i primi artisti del periodo a capire la necessità di non idealizzare le figure nell’arte ma semmai di raccontare la verità dell’essere umano con le sue imperfezioni.
   

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