Un cavallo azzurro di cartapesta torna a farsi simbolo di libertà e diritti, questa volta davanti ai Centri di Permanenza per il rimpatrio (Cpr). Marco Cavallo, la grande “macchina teatrale” realizzata nel 1973 da Giuliano Scabia e Vittorio Basaglia, cugino di Franco, insieme agli internati dell’ospedale psichiatrico di Trieste, è riapparsa ieri in un corteo rumoroso partito da Fiera di Roma verso il Cpr di Ponte Galeria.

«Come negli anni Settanta si abbattevano i cancelli dei manicomi, oggi dobbiamo guardare oltre le reti dei Cpr e osservare quello che ci viene impedito di vedere: persone, vite, sogni interrotti», hanno spiegato gli organizzatori del Forum salute mentale e della rete Stop Cpr roma.

Nella terza tappa del viaggio, dopo Gradisca d’Isonzo (Go) e Milano, un centinaio di manifestanti con bandiere fatte di tessuti di scarto, accompagnati dai tamburi dei percussionisti di Samba precario, hanno sfilato fino alle mura di quello che gli organizzatori definiscono un «lager urbano». Lì, gli attori Lino Musella e Anna Ferraioli Ravel hanno ripercorso le storie di tante e tanti reclusi: Ahmed, Hassan, Muhammad, Adil, Julius, Marie. Racconti di violenze, soprusi, abusi di psicofarmaci, assistenza negata a persone non autosufficienti, vittime di tratta. Il presidio ha ricordato anche Ousmane Sylla, morto suicida nel febbraio del 2024 a Ponte Galeria e Moussa Balde, che si tolse la vita a 23 anni nel Cpr di Corso Brunelleschi a Torino nel 2021. Presente anche Hamidou Balde, fratello di Moussa.

In contemporanea, una delegazione di parlamentari accompagnati dal Tavolo Asilo e Immigrazione ha fatto accesso al Cpr per documentarne le condizioni. Dall’ultima visita della deputata Pd Rachele Scarpa, nel luglio scorso, il quadro resta drammatico: stanze sovraffollate e sporche, cimici da letto, cibo di pessima qualità, acqua stagnante nei bagni. Mancano protocolli contro i rischi suicidari, nonostante decine di atti autolesivi registrati. I trattenuti denunciano carenze gravi nell’assistenza sanitaria, psicologica e legale, oltre a restrizioni nella comunicazione: all’ingresso i cellulari vengono requisiti, e ogni contatto con i familiari avviene alla presenza di un operatore. Il Cpr romano, inoltre, è l’unico in Italia a disporre di una sezione femminile di 5 posti.

«La nostra prospettiva è abolizionista: non c’è possibilità di abbellire una gabbia», ha dichiarato Roberto Viviani di Stop Cpr Roma. Al centro delle rivendicazioni c’è la questione sanitaria: «Chiediamo all’Ordine dei medici di prendere posizione, per impedire che il personale sanitario si trovi costretto a convalidare visite di idoneità in queste strutture detentive», ha continuato l’attivista. Per questo il secondo appuntamento della giornata di mobilitazione si è svolto davanti all’Ospedale Grassi di Ostia, dove gli organizzatori hanno rivolto un appello agli operatori medici e infermieristici della Asl Roma 3 affinché si «interrompa la complicità con il sistema di tortura del Cpr». Sono i medici, infatti, a produrre un “certificato di idoneità alla vita in comunità ristretta”, un lasciapassare per il trattenimento del migrante nel Cpr.

«La questione dell’idoneità è abominevole, una mistificazione colpevole», ha commentato Carla Ferrari Aggradi, psichiatra, presidente del Forum per la Salute Mentale e dell’Associazione Marco Cavallo. «Vogliamo che la psichiatria sia uno strumento a favore delle persone che stanno male. Non ci va bene che invece si presti a questo gioco di tutore dell’ordine», ha continuato l’attivista. Il viaggio del Marco Cavallo proseguirà: prossimi appuntamenti al Cpr di Palazzo San Gervasio, Brindisi e Bari, rispettivamente il 4, l’8 e il 10 ottobre.