“Gad Lerner, in un articolo sul Corriere della Sera del 31 agosto, si definiva un ‘appestato’ per le sue posizioni di ebreo dissidente sulle scelte di Israele nella Striscia di Gaza ed esprimeva gratitudine per il dialogo che si era aperto con me. Io per quarant’anni ho fatto il medico. I medici, e così i rabbini, hanno il dovere di curare tutti, inclusi gli appestati. Se poi la cura è efficace, è tutto da vedere”. Lo afferma in un’intervista al Corriere della Sera, il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, spiegando le ragioni che lo hanno spinto a confrontarsi con Lerner nel loro libro edito da Feltrinelli Ebrei in guerra. Dialogo tra un rabbino e un dissidente, in uscita il 30 settembre.

“Il titolo iniziale era – aggiunge -: ‘Gli ebrei e la guerra’. Poi ho proposto questo. Mi sembrava di maggiore impatto. Poi rispecchia un concetto: la guerra, per un ebreo, è soprattutto dentro se stesso per controllarsi e crescere meglio. Nel momento in cui gran parte del popolo ebraico è impegnato in un conflitto armato, la tensione tra gli ebrei si acuisce. Dopo il Capodanno, per gli ebrei arriva il Digiuno di Ghedalia, che commemora l’uccisione da parte degli ebrei irriducibili di Ghedalia Ben Achikam, l’ultimo governatore ebreo della Giudea imposto dai babilonesi come mediatore. I babilonesi, dopo l’assassinio, decisero un ulteriore giro di vite e così finì l’indipendenza. Le lotte interne tra ebrei ci sono sempre state, anche con esiti sanguinosi. E c’erano forti tensioni in Israele prima del 7 ottobre 2023”. “Gli ebrei – prosegue Di Segni – dissentono su tante cose, ma esprimersi con appelli sui giornali è cosa diversa in un momento in cui il conflitto è anche pesantemente mediatico. E quell’appello sembrava indicare gli ebrei ‘buoni’ distinguendoli dai ‘cattivi’. Per non parlare di quegli ebrei che si ricordano di esserlo solo quando firmano appelli. Nessuno si appiattisce acriticamente sul governo Netanyahu o su questo o su quel ministro. Ma nell’ebraismo italiano c’è amplissima adesione sul fatto che c’è una guerra in cui è essenziale il tema della sopravvivenza di Israele. Io stesso me ne sono meravigliato: nel 1982 e la divisione era molto più forte”.

“Non è un rischio – conclude il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma -, ma un dato di fatto, una certezza nel momento in cui viene usata in una maniera così pericolosamente disinvolta la parola genocidio. Tutto è mediaticamente finalizzato a cancellare il vero genocidio, con una grande operazione di lavaggio delle coscienze utilizzando il senso di colpa dell’Occidente per la Shoah che così finirà per liberarsene completamente. E nulla sarà più come prima”.