In Giappone arriva il nono titolo per Marc, settimo in top class e primo con la Ducati. Nella terra di Honda e Yamaha, in sella alla moto con cui Rossi aveva fallito: quando la storia gioca con i paradossi
Giornalista
28 settembre – 07:49 – MILANO
Tranquillo Marc, la (rin)corsa è finita. Non sembri un ossimoro, per uno che di mestiere deve correre e scordarsi di stare tranquillo. Però la rincorsa di Marc Marquez ai nove Mondiali di Valentino Rossi finisce in una domenica autunnale a Motegi, pista giapponese, a bordo di una Ducati, moto italiana. Spagna-Italia-Giappone: in una sola immagine, come un’icona sacra, la “trinità” storica del Motomondiale. Marquez vince il Mondiale MotoGP 2025 e la storia si diverte a giocare con i paradossi.
amato, sfidato, eguagliato—
Marc Marquez corre in moto perché prima di lui c’è stato Valentino Rossi, un monumento vivente che ha ispirato generazioni di piloti. La foto che ormai tutti conoscono, di un Marc poco più che bambino avvinghiato al suo mito Vale nel paddock, racconta fino in fondo la relazione maestro-allievo, l’origine di un percorso, il rapporto quasi hegeliano di una Tesi (Valentino) e di quella che sarebbe diventata la sua Antitesi (Marc), di cui stiamo probabilmente ancora aspettando una Sintesi (l’essenza stessa della MotoGP, forse?). Marquez corre in moto perché aveva un idolo da amare, che è poi diventato rivale da sfidare, battere, provocare persino. E per diventare fenomeno fino in fondo, Marquez quel mito l’ha dovuto prima demolire dentro di sé, come un figlio deve liberarsi della figura del padre per affermarsi come individuo: adesso Marc ha eguagliato Valentino nel numero di Mondiali vinti, nove, e la sua corsa simbolica è finita. Il mito Valentino non è certo demolito, perché piaccia o no, VR46 ha cambiato per sempre e più di tutti l’universo Motomondiale: ma numericamente è agganciato, pareggiato, questo sì. Valentino Rossi ha vinto un Mondiale 125, uno 250, uno 500 e sei MotoGP; Marc Marquez ha vinto un Mondiale 125, uno Moto2 e sette MotoGP. In totale fa sempre 9, anche se a guardare dentro i numeri Rossi ha vinto con cinque cilindrate e architetture motoristiche diverse (125, 250, 500 2T, 990 4T e 800 4T), Marc con tre: sarà anche roba da “smanettoni” ma vuol dire tanto. Misura il volume di un pilota considerate le variabili talento, tecnica di guida, adattamento al mezzo meccanico. Ma vabbè, è un’altra storia.
nella terra di honda e yamaha—
Marc Marquez diventa aritmeticamente campione per la nona volta a Motegi, in Giappone. Il Paese di Honda e Yamaha (e Suzuki che però in questa storia non c’entra): la prima è la casa con cui Valentino ha stravinto in top class (2001-2003) e che ha fatto di Marquez un tiranno (2014-2019, con l’eccezione 2015…); la seconda è la casa dove Rossi è andato nel 2004, con uno strappo da cinema, riportandola sulla vetta del mondo (2004-2005 e 2008-2009) contro ogni pronostico e cancellando per sempre quello che stava diventando una sorta di complesso di inferiorità di Yamaha nei confronti di Hrc. Honda e Yamaha si “menavano” di brutto, sportivamente parlando, perché vincere nel Motomondiale fa vincere anche in termini di vendite: quando Hrc ha trovato Marquez, ha ripreso a respirare, perché il passaggio di Valentino in Yamaha nel 2004 aveva aperto un ciclo tecnico vincente (se si escludono Hayden e i due titoli di Stoner) i cui benefici erano stati ereditati anche da Jorge Lorenzo fino al 2015. Insomma, la rivalità sportiva (diventata altro dopo il 2015), tra Marquez e Rossi ha parlato a lungo giapponese. Altamente simbolico che il cerchio si chiuda – leggi, l’aggancio si compia – proprio in Giappone.
ducati flop, ducati top—
Marc Marquez diventa campione per la nona volta e lo fa su una moto italiana, la Ducati. Riavvolgendo il nastro… Ricordate quando Valentino passò in Ducati? “Rossi sulla rossa” e cose così, biennio 2008-2009. Alzi la mano chi non gongolava all’idea di veder vincere il migliore, il Dottore, su un’icona italiana, cosa riuscita solo a un australiano un po’ matto l’anno prima. La storia di Rossi in Ducati è andata diversamente, anche perché quella Desmosedici non era quella di oggi: lo stava diventando grazie a Capirossi, poi Stoner e poi ancora Dovizioso, ma non lo era ancora. Marquez ha vinto con Ducati, strappando con Honda quando sembrava impensabile, passando alla casa di Borgo Panigale anche se nel team satellite di Gresini, sfruttando un anno da “studente” per capire quanto fosse perfetta la Desmosedici firmata Dall’Igna e quanto profondamente diversa dalla RC213V che Honda da anni si ostinava a cucire addosso a Marquez finendo per farne un oggetto inguidabile persino dallo stesso Marc. Marquez raggiunge Rossi vincendo con la moto che Valentino non era riuscito a portare alla vittoria: imparagonabili quella Ducati e questa Ducati, ma se uno cerca delle suggestioni, qui ne trova a pacchi.
rossi, marquez e il coraggio—
Marquez raggiunge Valentino, e possiamo scrivere della rivalità per cent’anni ancora. A noi però piace chiudere con un aspetto che li accomuna, oltre ai nove Mondiali vinti a testa e all’istinto “famelico” che hanno solo i fuoriclasse. Il coraggio delle scelte. Valentino Rossi sceglie di lasciare Honda e passare in Yamaha: adesso sappiamo che la scelta fu azzeccata, ma “adesso” non è “allora”, e ci voleva una forza disumana per “uscire dalla mia comfort zone”, a voler usare un cliché ampiamente abusato dagli sportivi di oggi. Marc Marquez sceglie di fermarsi in quel 2020 per lui maledetto, con l’infortunio al braccio e i consigli scellerati arrivati dal suo entourage, che lo obbligò quasi a rientrare pochi giorni dopo un intervento chirurgico delicato: a un certo punto Marquez il cyborg, il campione che sapeva solo vincere, è diventato umano mostrandosi fragile. Si è fermato, ha attraversato tre stagioni da fantasma, da “tanto ormai è un ex”, ha fatto un passo indietro e due avanti quando la pazienza (e la Desmosedici…) ha dato i suoi frutti. Marc Marquez ha raggiunto Valentino Rossi a nove Mondiali vinti. Chissà se tra cent’anni parleremo ancora di una rivalità manichea o sorrideremo pensando a quanto certi tratti li abbiano uniti per sempre.
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