La poliomielite rappresentò, nel corso del XX secolo, uno dei principali incubi della salute pubblica globale. Le immagini di bambini nei polmoni d’acciaio e di giovani costretti a convivere con paralisi permanenti segnarono l’immaginario collettivo. L’introduzione dei vaccini antipolio a partire dagli anni ’50 e ’60 viene tuttora celebrata come uno dei più grandi successi delle vaccinazioni pediatriche.

Eppure, se confrontiamo i numeri storici della poliomielite paralitica con l’epidemiologia attuale dell’autismo profondo, emerge un quadro sorprendente: l’impatto sanitario e sociale dell’autismo profondo nei bambini di oggi supera ampiamente quello della poliomielite paralitica del secolo scorso.

Il caso della poliomielite: dati storici

Nel 1954, durante i celebri trial sul vaccino di Jonas Salk, furono seguiti circa 1,8 milioni di bambini negli Stati Uniti. In quell’anno si registrarono 685 casi di poliomielite paralitica, di cui 71 in bambini completamente vaccinati (Francis et al., 1955).

Negli anni precedenti all’introduzione della vaccinazione di massa, negli Stati Uniti i casi annuali di poliomielite paralitica oscillavano tra i 13.000 e i 20.000 (Nathanson & Martin, 1979).

Pur trattandosi di una tragedia, con pesanti conseguenze individuali e collettive, la prevalenza totale nella popolazione infantile rimaneva contenuta.

Epidemiologia dell’autismo oggi

Secondo i dati del CDC Autism and Developmental Disabilities Monitoring (ADDM) Network, pubblicati nel 2023, la prevalenza di disturbo dello spettro autistico (ASD) tra i bambini statunitensi di 8 anni è di circa 1 su 31 (3,2%) (Maenner et al., 2023).

Applicando questa prevalenza alla popolazione pediatrica statunitense prevista per il 2025 (70,9 milioni di individui sotto i 18 anni), si stima che oltre 2,28 milioni di bambini riceveranno una diagnosi di ASD.

Tra questi, il 26,7% soddisfa i criteri di autismo profondo.

In termini assoluti, ciò significa circa 610.000 bambini che necessitano di assistenza continua e specializzata.

Definizione di autismo profondo

Il termine autismo profondo (profound autism) non rappresenta una nuova categoria diagnostica distinta nel DSM-5-TR o nell’ICD-11, ma è stato introdotto nella letteratura scientifica a partire dal consensus statement della International Society for Autism Research (INSAR, 2021; aggiornato nel 2025)INSAR, 2021; aggiornato nel 2025).

Il concetto di “profondo autismo” è stato introdotto per descrivere la quota di soggetti nello spettro con i bisogni più elevati e persistenti.

I criteri includono:

  • Grave disabilità cognitiva (QI
  • Assenza o marcata limitazione del linguaggio verbale.
  • Dipendenza totale in attività quotidiane come nutrizione, igiene e mobilità.
  • Deficit adattivi marcati, presenti in contesti multipli e non transitori.
  • Alta frequenza di comorbidità neurologiche, in particolare epilessia.
  • Comportamenti problematici, inclusi auto-lesionismo e aggressività.

Queste caratteristiche delineano una condizione che richiede supporto assistenziale h24 per l’intera vita, con costi enormi per le famiglie e per i sistemi sanitari e sociali.

Confronto con la poliomielite

Sebbene la poliomielite paralitica fosse devastante, molti sopravvissuti hanno potuto condurre vite piene: con limitazioni motorie ma con capacità cognitive intatte, possibilità di impiego e relazioni sociali soddisfacenti.

L’autismo profondo, al contrario, comporta una disabilità globale e permanente, che limita in modo radicale l’autonomia, l’inserimento scolastico e lavorativo, la possibilità di costruire relazioni affettive indipendenti.

Dal punto di vista epidemiologico, il divario è impressionante:

Poliomielite paralitica: massimo storico di 20.000 casi/anno negli USA.

Autismo profondo: oltre 600.000 bambini oggi, solo negli Stati Uniti.

La differenza in termini di prevalenza, durata della condizione e impatto socioeconomico è tale da configurare l’autismo profondo come una crisi di salute pubblica senza precedenti nella storia pediatrica moderna.

Implicazioni di salute pubblica

Nonostante i numeri, le scuole di sanità pubblica e le principali agenzie federali non hanno ancora trattato l’autismo profondo come una priorità equivalente a epidemie del passato.

La retorica della “success story” della poliomielite continua a dominare i programmi accademici e comunicativi, mentre la realtà attuale di centinaia di migliaia di bambini con bisogni complessi rimane in secondo piano.

È urgente:

  1. Riconoscere formalmente l’autismo profondo come emergenza sanitaria e sociale.
  2. Destinare risorse proporzionate per la ricerca, la prevenzione e i servizi assistenziali.
  3. Rivedere le priorità della sanità pubblica, aprendosi a un’analisi più trasparente delle cause e delle possibili strategie di mitigazione.

Il confronto tra poliomielite e autismo profondo non intende sminuire le sofferenze dei sopravvissuti alla prima, ma evidenziare come la scala e la gravità dell’autismo profondo superino di gran lunga quella di una delle peggiori malattie pediatriche del XX secolo.

Ignorare questo dato significa negare la realtà quotidiana di centinaia di migliaia di famiglie.

Serve un cambio di paradigma: dalla celebrazione dei successi del passato al riconoscimento delle sfide del presente.