L’Italia bella. E che sa rivincere. Campioni del mondo, per la seconda volta consecutiva. Nessuno ha mai fatto meglio. Mettevi comodi: siete a volleywood. La pallavolo azzurra che si fa spettacolo, mette ko la Bulgaria in quattro set (3-1, in meno di 2 ore) e festeggia il bis mondiale a Manila, Filippine. È lì la festa.
«Questi sono ragazzi speciali. Sono felice», ha detto don Fefé De Giorgi mentre i suoi giocatori si abbracciavano, cantavano, saltavano. Gli dicevano che l’Italia era scarica, sazia, finita. Little lies, piccole bugie. Il ct azzurro sale a quota cinque Mondiali vinti (tre da giocatore, due da tecnico). «Un’estate indimenticabile», dice Bottolo. E Anzani: «L’ho detto a inizio estate: il nostro obiettivo era questo. E ce l’abbiamo fatta. Arrivo da due anni in cui ho rischiato di smettere di giocare. Ora sono qui».
La fondazione di un’accademia
Non è mai facile vincere. Complicatissimo rifarlo. Per molti sportivi è una specie di utopia. E negli sport di squadra addirittura un’allucinazione. Invece questa Italia ha fatto l’incredibile. Anche peggio a distanza di quattro anni dall’ultima volta. Primi due set perfetti, il terzo in totale blackout. La Bulgaria (squadra più giovane della competizione) ha un colpo di coda e una reazione d’oroglio da squadra vera. Non basta. Non con questa Italvolley.
Quarto set azzurro da urlo con addirittura 14 match point da gestire. Ma non servono. Anzani mette un primo tempo e chiude il match. Quattro dei nostri finiscono anche nel Dream Team del Mondiale 2025: Balaso (libero), Giannelli (palleggiatore), Romanò (opposto) e Michieletto (Mvp e schiacciatore). Insomma, un trionfo.
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Quello dell’Italia non è solo il successo di un (altro) Mondiale, il secondo consecutivo, è la fondazione di una scuola. Lo sport si copia da quelli bravi. Lo ha fatto anche l’Italia della pallavolo. Che sì, ha sempre avuto una sua conformazione, un suo stile, una sua idea di pallavolo. Ma non si vergognava di sbirciare gli altri: il Brasile delle leggende, l’Urss dei miti, la Cuba dei grandi saltatori.
Dal 2022, anno del primo mondiale conquistato a oltre vent’anni di distanza dal primo, ma anche l’anno di fondazione di un volley diverso, l’Italia è diventata un’accademia. Il bis non è un exploit, è la diffusione di un’idea di pallavolo coltivata dalla Federazione da tempo. Non è un caso che gli azzurri del maschile e del femminile abbiano vinto tutto (o quasi) nello stesso arco di tempo.
Per una volta le parole della politica non sono slogan retorici. Giuseppe Manfredi, presidente della Federvolley, ha spiegato che «a noi servono tantissimo gli impianti di base avendo una base molto diffusa. Stiamo parlando con il ministro dello Sport, che ci sta dando delle certezze importanti per quanto riguarda la prossima risoluzione del problema delle palestre scolastiche da mettere a disposizione di tutti».
Intanto la federazione ha definito un investimento di almeno 10 milioni di euro, i risparmi di un bilancio sano. Il successo olimpico della Nazionale femminile e il grande richiamo dei club sul territorio e non solo hanno portato i tesserati Fipav a superare quota 350mila nel 2024 e nella prima metà del 2025 a incrementare ulteriormente la quota, con 364mila iscritti, con le donne che hanno raggiunto quota 77 per cento confermando il volley come sport femminile di squadra più praticato nel paese.
L’Italvolley piace a tutti
Il successo della pallavolo made in Italy arriva da lì: dalla ricerca del talento nelle scuole, dagli investimenti alti ma oculati, dall’entusiasmo, dalla positività. E dal progetto complessivo. Ancora Manfredi, che giustamente gongola, ha spiegato che i successi sono frutto di una relazione, «sinergie tra club e Federazione». Qualcosa che al calcio, in qualche modo, manca. Si sta lavorando sull’internazionalizzazione del prodotto. La SuperLega valuta di portare la Supercoppa all’estero, con offerte concrete già arrivate da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. La stagione 2024/25 ha segnato nuovi record in termini di spettatori e visibilità. E la prossima promette di fare meglio.
L’autocelebrazione conta fino a un certo punto. La certificazione di tutto questo lo si trova in un paradosso, cioè nella sconfitta della Bulgaria, allenata proprio da un italiano, ex cittì: Chicco Blengini. Portare in finale i bulgari è stata comunque un’impresa. Segno che la school of Italy è viva, e si espande. Succede da anni (vedi il Belgio o le esperienze avute da alcuni coach negli Usa), ma negli ultimi è più forte. L’Italvolley piace a tutti. Senza folklore, quello lasciamolo dov’è. Sono le competenze, gli studi, la scienza.
E a tutto questo si affianca il nuovo umanesimo. Quello che ha coltivato con grazia e ironia Fefè De Giorgi. Nel 2021, dopo aver vinto l’Europeo, scrisse un libro: “Noi Italia pallavolo. I valori che ci hanno permesso di salire sul tetto d’Europa in trenta giorni”. Sembrava retorica. Invece lui ci ha sempre creduto. La maglia azzurra vista come valore, qualcosa da mettere prima del resto, e che va conquistata con fatica, sudore e determinazione. E poi custodita come un tesoro.
Eroi normali
Lo hanno fatto davvero questi giocatori un po’ eroi e un po’ very normal people. Da Simone Anzani fino ad Alessandro Michieletto, ragazzi che amano le cose che amano tutti: il barbecue, la famiglia, lo studio, il calcio. C’è il capitano Simone Giannelli, un poeta della schiacciata. Sembrava essere un Mondiale sciagurato, iniziato con l’infortunio di Daniele Lavia (uno degli uomini chiave, capitan Giannelli è salito sul podio con la sua maglia numero 15) e una sconfitta contro il Belgio nel girone che sapeva di segno del destino. Ma come fai a rivincere il Mondiale, dài. E pure i risultati delle altre avevano disegnato un percorso per soli outsider: Brasile fuori, Giappone fuori, Stati Uniti fuori.
Invece De Giorgi ha tenuto insieme tutto, ha azzerato i problemi fino alla semifinale contro la Polonia: una partita perfetta. E ovviamente la finale contro la Bulgaria. A un certo punto, nel terzo set, con l’Italia sopra di due, Giannelli si è fatto sentire: «È questo il momento di resistere, eh». «Usciamo dal tunnel», ha detto De Giorgi. La fuga della Bulgaria, che il terzo set alla fine lo ha vinto, non ha interferito sulla corsa azzurra verso l’apoteosi. Un’Italia che ha imparato anche a gestire i momenti no. Dentro il successo ci sono i volti di Mattia Bottolo (non benissimo il terzo set, ma sensazionale il quarto), Fabio Balaso, Francesco Sani e tutti gli altri. Un gruppo forte e unito come il cemento.
Il successo azzurro ha però la faccia da enigmatica e cupa di Yuri Romanò, 22 punti e una quantità di palloni fondamentali giocati. Nel 2022 fu lui la sorpresa, l’uomo della svolta. Contro la Bulgaria è stato la conferma. Nell’eleganza di Romanò c’è tutta la forza dell’Italia (anche se non l’hanno premiato Mvp: peccato). «Abbiamo vinto da gruppo», ha detto. Opposto mancino, una rarità. Elevazione, elasticità, potenza. Un martello. Soprattutto uno capace di mettere il pallone dove vuole.
La prossima stagione Romanò, 28 anni, la giocherà in Russia, andrà a seminare il talento italiano lontano da qui. Come tutti gli altri, Romanò è ragione e sentimento di questa Italia. La famiglia, ha raccontato una volta, «mi dà serenità, mio padre è come me, mi ha insegnato a tenere i piedi per terra, a pazientare per qualsiasi cosa ripetendomi che prima o poi ciò che ognuno desidera da una vita arriva». Ha saputo aspettare, ha fatto la gavetta, ha atteso il momento giusto. «Per poter dimostrare ciò che ho imparato».
Un Mondiale non gli bastava. Se n’è presi due.
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