Giulio Grosso, 33 anni, è un tatuatore torinese. Quando esce dallo studio dove lavora, imbraccia la macchina fotografica e si trasforma in qualcosa a metà strada tra un archeologo e un antropologo dei tatuaggi. Va a caccia di quelli realizzati nelle carceri tra gli Anni ’60 e gli ’90. «Si tratta di disegni grezzi e artigianali, ma poetici. Il mio obiettivo è documentarli per mantenerli in vita: a breve scompariranno e non saranno più replicabili», spiega. Una passione, la sua, nata quasi per caso. La scintilla? «Facevo il corriere Amazon e frequentavo le zone periferiche delle città – ricorda –. Durante le pause sono rimasto stregato dal tatuaggio di un anziano, ho iniziato a parlare con lui e ho chiesto se potevo fotografarlo».
In tutta Italia
Quello scatto, insieme ad altre decine, resta annegato nella galleria fotografica del suo smartphone. «Poi, un giorno, ho deciso di condividere la mia passione sui social. Volevo capire se il progetto potesse avere un seguito», racconta. Nasce così «Inchiostro su strada», pagina in cui Giulio pubblica i suoi scatti realizzati nelle periferie di Torino. Poi il suo sguardo si allarga e cominciano le trasferte: Genova, poi Livorno, Roma e Napoli.
I disegni in cella
I disegni realizzati in carcere possono essere considerati la prima tessera della storia del tatuaggio. In cella venivano utilizzati aghi di recupero legati tra loro, l’inchiostro era ricavato da nerofumo allungato con urina. Nella carrellata dei soggetti immortalati da Giulio ci sono alcuni temi ricorrenti: «I pugnali e le pistole, in molti casi simbolo di vendetta. Farfalle e rondini, che riecheggiavano il desiderio di libertà. Poi il nome della donna amata, spesso incastonato in un cuore. Oppure le scritte per la mamma». Erano fatti spesso di notte, lontano dagli sguardi dalle guardie carcerarie, e in condizioni igieniche pessime. Una cornice che, secondo Giulio, aggiunge fascino: per molti sono scarabocchi, lui invece vede un pezzo d’arte.
Storie incise per sempre sulla pelle
Nel suo girovagare per le città, Giulio ha ascoltato una miriade di storie sul significato di quei disegni sulla pelle. Qualcuno ostentava il tatuaggio realizzato negli anni da galeotto, altri lo coprivano per paura dello stigma che il carcere ti cuce addosso. In alcuni casi la volontà di rimuoverlo aveva altri motivi. Come l’uomo che ha provato, con violenza, a cancellare il ricordo dell’ex moglie: «La delusione d’amore – racconta Giulio – lo aveva spinto a raschiarsi il braccio con un mattone, fino a sfregiarsi».
Il progetto “Inchiostro di strada”
Il progetto “Inchiostro di strada” diventerà presto anche un documentario video. Insieme a un collega film-maker, infatti, Giulio Grosso è riuscito a entrare in alcune carceri – da Regina Coeli al penitenziario di Matera – dove ha intervistato decine di detenuti. «Molti stanno scontando pene di 20 o 30 anni e hanno sulla pelle disegni unici». Destinati a sparire in pochi anni. «Vorrei farli sopravvivere ai loro “proprietari” – conclude il tatuatore-fotografo –. Anche volendo, oggi non riusciremmo a realizzare quei disegni, così primitivi e autentici».