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Il mondo del tennis vive giorni di tensione. I giocatori da tempo chiedono più tutele e un riconoscimento economico maggiore. La protesta è arrivata sotto forma di una lettera firmata da quasi tutti i big del circuito: tra gli uomini ci sono Jannik Sinner, Carlos Alcaraz e Lorenzo Musetti, con l’eccezione di Novak Djokovic e Auger-Aliassime; tra le donne hanno aderito nove delle prime dieci della classifica WTA, fatta salva Elena Rybakina.
Le richieste sono precise e riguardano diversi aspetti della carriera di un tennista. In primo piano c’è l’aumento della percentuale dei ricavi destinata ai montepremi, che i firmatari vorrebbero portare dal 16% al 22%. Ma non solo: i giocatori pretendono la creazione di fondi per pensioni, assistenza sanitaria e maternità, come già accade con ATP e WTA, e l’istituzione di un Consiglio dei Giocatori in grado di approvare o respingere le novità introdotte nei tornei.
Il tema ha trovato terreno fertile soprattutto a New York. Gli US Open, infatti, si sono mostrati più disponibili al dialogo rispetto agli altri Slam, rivendicando la crescita del montepremi del 57% negli ultimi cinque anni e l’aumento a 90 milioni di dollari previsto per il 2025. «Siamo sempre stati disposti ad aumentare i compensi per i giocatori», hanno sottolineato gli organizzatori, ricordando come Alcaraz e Sabalenka abbiano superato i 5 milioni di dollari di premi nell’ultima edizione.
Il fronte dei tennisti, tuttavia, resta compatto e convinto che sia arrivato il momento di un cambiamento strutturale. Per rafforzare la propria posizione, hanno coinvolto Larry Scott, ex CEO della WTA, figura discussa ma con grande esperienza nella gestione dei circuiti. Rimane invece fuori da questa battaglia la PTPA di Djokovic e Pospisil, che ha comunque espresso il proprio sostegno parlando di «un passo necessario per garantire responsabilità e accelerare la riforma attesa da tempo nell’intero ecosistema del tennis».
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