Corte costituzionale – A patrocinare gli interessi delle parti private è stato l’avvocato viterbese Marco Ripamonti – VIDEO
Viterbo – (sil.co.) – Stop al divieto di gioco online nei bar, bocciata come illegittima dalla consulta la norma del decreto Balduzzi che dal 2012 vietava di mettere a disposizione, presso qualsiasi pubblico esercizio, apparecchiature che consentano di giocare sulle piattaforme online. Lo ha sancito la corte costituzionale con una sentenza depositata il 10 luglio, precisando che “spetta al legislatore l’adozione di ulteriori e idonee misure di contrasto della ludopatia”.
Ebbene La questione era stata sollevata dalla corte di cassazione e dal tribunale di Viterbo, che avevano evidenziato l’impatto pesante sulle piccole attività, come internet point e bar, costrette a bloccare completamente l’accesso ai siti di gioco, pena una sanzione economica altissima, mentre a patrocinare gli interessi delle parti private dinanzi alla corte costituzionale è stato un legale viterbese, l’avvocato Marco Ripamonti.
“Una delle parti private è per l’appunto titolare di un bar in zona Viterbo – spiega Ripamonti, che ha ottenuto la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma – la corte ha ribadito che la lotta al gioco patologico resta un obiettivo legittimo e importante, ma non può sacrificare i principi fondamentali di ragionevolezza e libertà economica garantiti dalla costituzione.
L’avvocato Marco Ripamonti
Sulla questione si è scatenato un ampio e variegato dibattito. “È intervenuto lo stesso artefice del provvedimento dichiarato incostituzionale, l’ex ministro della salute Renato Balduzzi, che se l’è presa proprio con i giudici, citando inoltre la mia arringa. Ebbene, non era nei miei programmi intervenire dopo un faticoso processo, ma essendo stato chiamato direttamente in causa da Balduzzi, non potevo certamente esimermi da spendere qualche parola”, sottolinea Ripamonti che, essendo la sua materia, ha portato avanti la sua battaglia per anni in tutti i tribunali d’Italia fino ad approdare alla consulta.
Il legale viterbese ha anche postato un video su Youtube, in cui spiega le sue ragioni. “Ho letto con attenzione l’articolo che è uscito su Avvenire, in cui si va a censurare l’operato dei magistrati della corte costituzionale e l’ex ministro ha rappresentato una situazione quasi drammatica per via di questa sentenza – esordisce – in particolare però l’ex ministro ha voluto richiamare una piccola parte della mia arringa dinanzi alla consulta del 7 maggio scorso, nella parte in cui io faccio un esempio. Ciò che dispiace è che si sia voluto un po’ rappresentare questo scenario come uno spaccato di ciò che accade oggi in Italia, e cioè tutti giocano, si gioca in modo disinvolto, la gente vuole uccidersi di gioco, come se fosse il male assoluto. E parliamo di gioco ovviamente lecito e di stato, perché l’esempio a quello si riferiva”.
“Non posso negarlo, sono molto contento. Mi spiace per chi non lo è, ma io non posso nascondere la mia soddisfazione per questo risultato che ho inseguito per anni nel pieno convincimento che fossimo al cospetto di una norma incostituzionale. Questa è una disposizione di legge che era evidentemente inefficace, perché chi non ha un computer per il pubblico per giocare ha proprio il telefono, ha la propria postazione internet, può fare tantissime cose in alternativa alla giocata sul portale in cui chiaramente è iscritto”.
“Quindi ecco perché è inefficace e sproporzionata, perché stando alla lettera della legge avremmo dovuto chiudere tutti gli internet point, non avrebbe più avuto cittadinanza una postazione internet pubblica, niente di niente. Questo sarebbe equivalso a tornare a regredire da questo punto di vista dei contatti, della libertà di comunicazione. È come dire regrediamo, torniamo a tantissimi anni fa quando internet non era stato ancora inventato. E purtroppo ciò è inaccettabile”.
“Già nel 2004 la stessa consulta aveva affermato come il gioco lecito non sia da demonizzare in senso assoluto, perché può essere uno strumento di svago. Coincide un po’ anche con quella che è l’esplicazione della propria personalità, delle proprie attitudini, dei propri passatempi e via discorrendo. È chiaro che la ludopatia è un male, ma non riusciremo mai a eliminare queste patologie, questi fenomeni, soltanto abolendo i computer dagli esercizi pubblici. È impossibile”.
“Ricordo anche che per giocare sui portali leciti, occorre essere maggiorenni, dimostrarlo, ottenere delle credenziali e disporre di un conto di gioco. Quindi la tutela delle fasce più deboli dei minori è un falso problema, perché chi non è attrezzato in questo senso e non dispone di credenziali, non può accedere a questi portali di gioco lecito. Quanto poi ai siti illeciti l’Adm, in sinergia con Sogei, riesce ad oscurare in tempo reale tutti quei portali che sono privi di concessione rilasciata dai monopoli di stato. Quindi ecco perché l’utilizzo del computer pubblico per finalità di gioco ritengo sia un falso problema”.
“Ora, per converso, la ludopatia, la propensione eccessiva al gioco sono un problema oggettivo. E bene ha fatto il giudice delle leggi a invitare il legislatore ad attenzionare la materia, magari con degli interventi, e chiarire e precisare, ma soprattutto specificare e delimitare quello che può essere il perimetro di certi divieti, perché non è ipotizzabile e non può essere consentito trattare un portale autorizzato alla stessa stregua di un portale non autorizzato. Sono due situazioni completamente diverse e che non possono essere confuse. Ed era profondamente ingiusta questa norma di legge, laddove andava ad accumulare le fattispecie”.
“Vogliamo mettere questa situazione con il gioco magari clandestino che si può trovare su portali non autorizzati. Ebbene questi ultimi vanno oscurati, non devono risultare accessibili e in effetti non lo sono. E pertanto non è pretendibile trattare nella stessa misura queste due situazioni che sono diametralmente diverse ed opposte. E quindi io devo dire che questa sentenza è ineccepibile, l’ho letta e riletta, e non vedo veramente delle criticità”.
“Non tutti sanno, forse, che nell’iniziale decreto legge, quindi un provvedimento reso per ragioni di necessità e urgenza, questa norma non era prevista. È stata introdotta in sede di conversione, quindi in una fase successiva, quando si decide se convertire il decreto in legge o meno. Solo a quel punto si è ritenuto di inserire questa disposizione. E nel momento in cui è stata aggiunta la commissione giustizia ha sollevato forti perplessità sulla sua compatibilità, finanche con la normativa comunitaria. Cioè sostanzialmente si esprimeva proprio in questi termini, per le ragioni che sono chiaramente espresse nella pronuncia della corte costituzionale”.
16 luglio, 2025