In Lombardia, una nuova sentenza riconosce il diritto all’assistenza sanitaria gratuita per chi convive con la demenza. Ma quante famiglie continuano a pagare il prezzo dell’inconsapevolezza istituzionale?
Ci sono malattie che cancellano lentamente i volti, le date, le stanze. Altre cancellano i diritti. L’Alzheimer fa entrambe le cose.
Nel silenzio ovattato delle Residenze Sanitarie Assistenziali, spesso trasformate in cattedrali della solitudine, si consuma da anni una discreta ingiustizia. Famiglie costrette a svuotare risparmi, a vendere case, a diluire il lutto in rate mensili. Tutto per pagare ciò che, secondo lo spirito della Costituzione – e ora anche secondo la giurisprudenza – non dovrebbe mai essere pagato: il diritto alla cura.
La Corte d’Appello di Milano, con una sentenza pronunciata poche settimane fa (n. 1644/2025), ha finalmente acceso un riflettore su questa zona grigia, dove assistenza e sanità si mescolano fino a diventare indistinguibili. Al centro del caso, una donna affetta da demenza senile, ricoverata in una RSA lombarda, per la quale la famiglia era stata chiamata a corrispondere una retta annua superiore ai 26.000 euro. Eppure, non si trattava di una pensione alberghiera o di un soggiorno protetto: si trattava – come ha riconosciuto la Corte – di prestazioni sanitarie ad alta integrazione, erogate in continuità e necessarie per la sopravvivenza stessa della paziente.
La sentenza è chiara: la retta non è dovuta. Non perché vi sia una scorciatoia burocratica, ma perché la legge – quella vera, quella costituzionale – stabilisce che le cure mediche, laddove necessarie, sono un diritto inalienabile e gratuito. Lo afferma l’art. 32 della nostra Costituzione, lo ribadisce la normativa nazionale (DPCM 29 novembre 2001), lo conferma la più recente giurisprudenza di legittimità.
Ma se le aule giudiziarie lo sanno, perché le RSA continuano a inviare bollette da capogiro? Perché le famiglie non vengono informate correttamente, e anzi, vengono spesso indotte a firmare “impegni di pagamento” dal valore discutibile? La risposta sta in un cortocircuito culturale e istituzionale, dove il confine tra assistenza e cura viene piegato alle necessità economiche delle strutture e alle ambiguità della normativa regionale.
La verità è che l’Alzheimer è una malattia sanitaria, non sociale. Non è solo la perdita delle chiavi o il nome di un figlio che sfugge. È una condizione clinica che richiede interventi medici continui, monitoraggio farmacologico, terapie riabilitative e gestione del comportamento. Non può essere ridotta a una forma di “non autosufficienza”, né trattata come se si stesse pagando una badante. È ospedalizzazione diffusa, anche se non ha il letto bianco e il neon al soffitto.
Questa sentenza – e le altre che l’hanno preceduta – aprono uno spiraglio di giustizia retroattiva. Le famiglie che hanno versato migliaia di euro potrebbero avere diritto a un rimborso. Ma serve consapevolezza, serve coraggio, e serve supporto legale. Non si tratta di cercare scorciatoie o sconti, ma di riaffermare un principio etico e giuridico: chi è malato ha diritto a essere curato, non spremuto economicamente.
In un Paese che invecchia a ritmi costanti, l’Alzheimer non è più un’eccezione, ma una realtà sistemica. Eppure la risposta resta individuale, affidata alla forza delle famiglie, alla fortuna di un avvocato informato, o all’occasione di un giudice illuminato.
È ora che la politica raccolga il testimone. Che si definisca una legge-quadro nazionale, in grado di distinguere tra prestazioni realmente assistenziali (per cui è comprensibile una compartecipazione alla spesa) e prestazioni sanitarie, che restano – per principio e per diritto – gratuite.
Fino ad allora, sarà la giurisprudenza a tracciare il sentiero. Ma ogni sentenza sarà sempre troppo tardi per chi ha già venduto la casa, per chi ha vissuto il lutto in anticipo, e per chi ha dimenticato che la dignità – anche quella di chi dimentica tutto – non ha prezzo.
Post Scriptum per chi legge con un familiare nel cuore:
Se state pagando una retta RSA per una persona affetta da Alzheimer o demenza, informatevi, chiedete, fatevi assistere. Non tutti i casi sono uguali, ma in molti – più di quanti si pensi – la spesa è illegittima. La legge non dimentica, anche quando chi amiamo purtroppo lo fa.
Egidio Francesco Cipriano
Immagine AI
Note
- Corte d’Appello di Milano, Sentenza n. 1644/2025 (depositata l’11 luglio 2025). La Corte ha stabilito che, nel caso di soggetti affetti da demenza o Alzheimer ricoverati in RSA, quando le prestazioni erogate siano connotate da una prevalente natura sanitaria, esse devono essere considerate “prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria” e pertanto totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale o Regionale, senza compartecipazione economica da parte dell’assistito o dei familiari.
- Corte di Cassazione, Sez. VI Civile, Ordinanza n. 33394 del 30 novembre 2023. La Suprema Corte ribadisce che quando la componente sanitaria è prevalente, inscindibile e continua, le prestazioni in RSA rientrano tra quelle interamente finanziate con risorse pubbliche, indipendentemente dalla qualificazione formale della struttura.
- Corte di Cassazione, Ordinanza n. 26943 del 21 settembre 2023. Ulteriore conferma dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui le prestazioni rese a pazienti affetti da gravi patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer, non sono assimilabili a prestazioni meramente assistenziali, anche se erogate in contesti extraospedalieri.
- Art. 32 della Costituzione Italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.” Tale principio costituzionale è il fondamento del diritto all’assistenza sanitaria gratuita anche in strutture residenziali.
- D.P.C.M. 29 novembre 2001 – “Definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA)”. All’art. 2, comma 1, lett. f), sono definite le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria, indicando chiaramente che queste sono a carico del Sistema Sanitario Nazionale, in quanto indispensabili alla tutela della salute della persona.
- Legge 8 novembre 2000, n. 328 – “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. All’art. 3, comma 2, viene chiarita la distinzione tra prestazioni sociali (eventualmente soggette a compartecipazione) e quelle sociosanitarie, quando riconducibili a bisogni clinico-sanitari prevalenti.
- Ministero della Salute – Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) 2017, aggiornamento al DPCM 12 gennaio 2017. Viene confermata la gratuità delle prestazioni sanitarie per patologie cronico-degenerative non autosufficienti, purché clinicamente documentate.
- Tribunale di Monza, Ordinanza del 2 luglio 2025. Anche se in senso prudente, il Tribunale ribadisce che la sola diagnosi di Alzheimer non basta per la gratuità automatica: serve accertare la natura e l’intensità delle prestazioni sanitarie effettivamente erogate.
- Consiglio di Stato, Sezione III, Sentenza n. 1607/2022: ribadisce che l’inquadramento delle prestazioni sociosanitarie deve fondarsi sulla natura del bisogno, non sulla classificazione amministrativa della struttura o del servizio.
- Cassazione civile, Sez. III, Sentenza n. 4558 del 22 marzo 2012: definisce le prestazioni sanitarie come “quelle volte a diagnosticare, curare e riabilitare condizioni patologiche”, da differenziarsi da quelle assistenziali, che sono “sussidiarie e di supporto”. Nel caso di patologie come Alzheimer, la distinzione si fa spesso artificiosa.