Il diritto alle ferie è stabilito dalla Costituzione e dai contratti collettivi e oltre a essere garantito annualmente, comporta il versamento dell’intero stipendio. Quella che sembra una facile considerazione logica, una palese conseguenza economica dello stesso diritto al riposo e al recupero delle energie psicofisiche, è in realtà un’affermazione a cui è nuovamente giunta la Corte di Cassazione, dopo una disputa giudiziaria vertente proprio sull’esatta cifra da versare al dipendente in ferie.

Vediamo insieme, in sintesi, la vicenda e i punti chiave della decisione n. 24988/2025, una pronuncia di orientamento e ammonimento per la generalità delle aziende e dei datori di lavoro.

Ferie non retribuite: il caso in tribunale

Una società impugnava la sentenza di corte d’appello che aveva ribadito l’esito del primo grado, ossia l’accoglimento della domanda dei dipendenti mirata a veder dichiarato il diritto alla piena retribuzione anche per le ferie, andando cioè a comprendere tutte le indennità previste dal contratto collettivo di riferimento – indennità di trasferta, diaria ridotta, fuori nastro, guida di mezzi complessi, ecc.

Al contempo il giudice del lavoro aveva anche condannato la società datrice al versamento delle collegate differenze retributive. Quest’ultima però non si arrese a una decisione del tutto contraria alle sue richieste e, con quattro distinti motivi, si rivolse alla Corte di Cassazione per provare a cambiare l’esito della disputa.

Respingendo il ricorso, la magistratura di legittimità non cambiò sostanzialmente di una virgola quanto stabilito dai precedenti giudici, chiamati a decidere sulla controversia. Nella sentenza n. 24988/2025 della Corte, infatti, si può leggere che il provvedimento impugnato, confermando la decisione di primo grado è sia conforme ai principi enunciati dalla stessa Cassazione, nel corso del tempo, che in linea con la finalità dell’art. 7 della direttiva 2003/88/CE recepita dal legislatore italiano.

Sereve a garantire:

un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale, mentre le censure proposte non evidenziano vizi idonei a determinarne la cassazione.

Secondo la Suprema Corte, infatti, andava accolta l’interpretazione del giudice di merito sulle norme collettive aziendali, che regolano le indennità e le somme aggiuntive alla busta paga di cui era stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale.

E ricordando alcuni importanti precedenti frutto di un costante orientamento, i giudici di piazza Cavour hanno fugato ogni dubbio e affermato che la busta paga del periodo del riposo annuale deve sempre includere:

qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 13425 del 2019; Cass. n. 37589 del 2021).

Cosa dice la legge sulla retribuzione delle ferie

Sull’argomento, la giurisprudenza della Suprema Corte trae origine dai principi comunitari. Non a caso, i giudici di legittimità citano le parole della Corte di Giustizia Ue (decisioni Robinson Steele del 2006, Schultz-Hoff del 2009 e Williams del 2018) e rimarcano, quindi, che il compenso previsto non deve mai disincentivare il dipendente dall’utilizzo delle ferie spettanti per contratto.

Come affermato dagli stessi giudici comunitari e ripreso anche dalla Suprema Corte:

qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto a indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo, che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza.

Non solo. Le sentenze della Corte di Giustizia dell’Ue hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sulle leggi italiane, come confermato dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 168/1981 e n. 170/1984, e hanno quindi valore di ulteriore fonte del diritto comunitario:

non nel senso che esse creino ex novo norme europee, bensì in quanto ne indicano il significato e i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (cfr. Cass. n. 13425 del 2019 e Cass. n. 22577 del 2012).

La busta paga deve essere uguale con o senza ferie

Quella delle ferie è una materia ricca di interventi giurisprudenziali (come recentemente dimostra anche una decisione della Corte sulle ferie non godute). Con la sentenza n. 24988/2025 la Cassazione ha ribadito un principio chiaro:

la busta paga del periodo di ferie deve avere lo stesso peso economico di quelle degli altri mesi dell’anno.

In altre parole, il dipendente non deve subire penalizzazioni di alcun tipo.

Questo significa che lo stipendio in ferie comprende tutte le voci retributive collegate al lavoro svolto. Non solo la paga base, ma anche indennità di trasferta, compensi per lavoro fuori turno e altre maggiorazioni, se previste in contratto.

Facciamo due:

  • se un autista riceve ogni mese un’indennità aggiuntiva perché guida mezzi pesanti, questa somma deve comparire anche nella busta paga di agosto, quando è in ferie;
  • se un tecnico ha diritto a un’indennità per lavoro fuori orario, questa voce non può sparire nel periodo di riposo annuale.

La decisione ha un duplice effetto generale:

  • obbliga le aziende a una maggiore trasparenza e correttezza nei conteggi;
  • offre ai lavoratori uno strumento in più per far valere i propri diritti.

Leggendo la propria busta paga, chi si accorge di ricevere uno stipendio più leggero durante le ferie, potrà rivolgersi al giudice del lavoro con buone probabilità di ottenere giustizia, visto l’orientamento costante della Cassazione e della Corte di Giustizia europea.