Il caso di Maddalena Carta continua a tenere banco e non solo nell’ambiente medico. La morte della dottoressa, a soli 38 anni e causa di un malore, è ormai considerato un episodio di “super lavoro”. Per il presidente dell’ordine dei medici, Filippo Anelli, si può persino parlare di “morte sul lavoro”. La donna, infatti, era medico di famiglia e, nonostante un malessere, non aveva esitato a continuare a prestare servizio, per senso del dovere: aveva, infatti, circa 5mila pazienti. Ma un malore le è stato fatale.

Una “inaccettabile morte sul lavoro”

Dure le reazioni che sono arrivate nel corso delle ore, dopo la notizia della scomparsa della dottoressa Carta, avvenuta in Sardegna, precisamente a Dorgali, in provincia di Nuoro. Per Filippo Anelli, presidente della Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo), si è trattato di “un’altra inaccettabile morte sul lavoro”. Anelli, infatti, ha ricordato come il decesso sia stato collegato al fatto di aver trascurato un malessere, probabilmente perché la donna non voleva stare a casa in malattia, lasciando senza cure e assistenza i propri assistiti, in un contesto nel quale c’era già una carenza di colleghi: gli altri due medici di famiglia che avrebbero dovuto prendere in carico i pazienti di Carta, infatti, erano in malattia.

Troppi pazienti per pochi medici

La medico donna di Nuoro, infatti, aveva in carico circa 1.800 assistiti propri, ai quali se ne erano aggiunti altri 3.200 dei due colleghi temporaneamente assenti, per un totale 5mila. “La giovane collega – ha spiegato ancora Anelli – è rimasta l’unico medico di famiglia a presidiare una comunità di 5.000 assistiti. Una comunità che non ha voluto lasciare, nonostante il malessere che la attanagliava. Alla sua salute ha anteposto la cura dei pazienti, e questo le è costato la vita. Una morte sul lavoro. Lo Stato, in tutte le sue espressioni, ha il dovere e l’obbligo di mettere in atto provvedimenti per evitare morti come questa”.

Territori sguarniti di medici e assistenza

Di fronte a questi numeri la Fnomceo ha rivolto una “ferma condanna per una situazione che vede sempre più territori sguarniti dei più essenziali presidi di assistenza, in primis il medico di famiglia, con conseguenti sovraccarichi di lavoro per chi resta”. Il fatto che l’episodio sia avvenuto in Sardegna, inoltre, è da un lato un esempio di situazioni analoghe che si registrano anche in altre zone del Paese, ma dall’altro è anche esemplificativo di una criticità che riguarda in particolare l’isola.

Dal malessere al malore fatale

Trascurando la propria salute, però, Maddalena Carta ha aggravato anche le proprie condizioni, fino ad una condizione fatale. Il malessere inziale, infatti, è diventato un malore che ha poi reso necessario il ricovero presso l’ospedale San Francesco di Nuoro. Ma neppure l’intervento dei sanitari nella struttura si è rivelato sufficiente, tanto che la dottoressa è stata successivamente trasferita in elisoccorso all’ospedale Brotzu di Cagliari, dove poi si è spenta.

La reazione dei sindacati

Immediata la reazione dei sindacati di categoria, che hanno puntato il dito sull’eccesso di lavoro a carico dei medici, in particolare dei medici di famiglia, che secondo le principali sigle si trovano spesso ad essere “lasciati soli”, senza supporto da parte delle aziende sanitarie e del sistema sanitario in generale. “Questo è il volto disumano del sovraccarico assistenziale. La morte della dottoressa Carta deve far riflettere sui carichi di lavoro richiesti ai medici di medicina generale, ancor più in territori nei quali le carenze sono enormi e l’assistenza ricade interamente sui medici di famiglia”, ha sottolineato in una nota la Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg), che non esita a parlare di “super lavoro”.

Occorrono più investimenti

Il sindacato ha anche rivolto un appello al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e a “tutto il Paese” affinché “riconoscano il valore” della dottoressa, del suo lavoro e dei medici in generale. Sulla stessa lunghezza d’onda anche un’altra realtà rappresentativa del settore, come la Società italiana dei medici di medicina generale. Secondo la Simg il caso deve essere considerato “un monito per riforme e investimenti necessari per la medicina generale, baluardo del SSN attuale e futuro”. Per questo serve “un sostegno concreto con personale amministrativo e infermieristico ma anche riforme pensate sulle esigenze dei territori”, sottolinea la Società.

La Cassazione e il danno da “super lavoro”

Anelli rimarca inoltre come la Cassazione, con una recente ordinanza, abbia sancito la legittimità del risarcimento del danno biologico per il superlavoro del medico, stabilendo che “il limite dell’orario di lavoro deve coincidere con la tutela della salute“. Per questo, “al di là della prova diretta del nesso di causalità, la responsabilità di questa morte è riconducibile a diversi fattori e attori”, dice Anelli, secondo cui “è ora di dire basta: nessun medico deve essere lasciato solo, a portare sulle sue spalle il peso insostenibile dell’assistenza a un intero paese”.