Il taglio alle spese sociali e quindi a quella della sanità, già sottofinanziata nonostante le promesse durante la pandemia, risente dello sforzo richiesto per il riarmo europeo presentato come necessario in vista di un possibile confronto militare con la Russia nel 2030. Ne parliamo con Vittorio Agnoletto, esponente di Medicina Democratica, organizzazione nata a Milano negli anni 70 a partire da inchieste e proposte per dare attuazione alla salute nei luoghi di lavoro. Agnoletto è docente di Globalizzazione e Politiche della Salute all’Università degli Studi di Milano. Nel 1987 ha partecipato alla fondazione della LILA, la Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS, della quale è stato a lungo presidente, volto noto fin dai tempi del G8 di Genova del 2001, il professor Agnoletto ha avuto anche esperienza diretta come europarlamentare e, oltre all’attività professionale come medico del lavoro, cura volontariamente una trasmissione sulla salute ( 37 e 2) trasmessa da Radio Popolare e ha una newsletter quindicinale “Diritti in Salute” alla quale ci si può iscrivere gratuitamente nella quale affronta dal locale al globale i temi della sanità.

«L’economia di guerra e la sanità sono strettamente correlate – afferma Agnoletto-. Scegliere un’economia di guerra implica destinare ingenti fondi alla spesa militare, a discapito di altri settori vitali come la sanità pubblica e la cooperazione internazionale. Fonti affidabili come la rivista scientifica Lancet prevedono che i tagli di Trump ai fondi USAID avranno un impatto disastroso nei prossimi 5 anni con14 milioni di morti nel mondo, di cui 4,5 milioni bambini sotto i 5 anni».

Fare paragoni tra la spesa militare e quella destinata al Servizio Sanitario Nazionale viene giudicata spesso una mossa retorica. Di cosa parliamo?

Partiamo dai numeri. Si stima che, se la spesa militare tradizionale, vale a dire investimenti in armi, mezzi, munizione, costi operativi ecc. raggiungerà il 3,5% del PIL nei prossimi 10 anni, si spenderanno 138 miliardi di euro in più rispetto a una spesa militare del 2% che è l’obiettivo che fino ad ora si era posto questo governo, e che era già ben superiore alla percentuale attuale. Questa cifra, 138 miliardi, equivale all’intera spesa sanitaria pubblica nazionale in un anno. In poco più di 12 anni, il SSN ha già perso 37 miliardi di finanziamento. Il risultato è, secondo i dati OCSE, una forte diminuzione del numero di giorni di vita senza malattia degli over 65; è evidente che, se questo dato continuerà a peggiorare, assisteremo presto nel nostro Paese ad una diminuzione dell’aspettativa di vita. Questa situazione ha portato ad un enorme aumento della spesa sanitaria privata, che ha superato i 40 miliardi di euro in Italia, rendendo, in molti casi, le cure accessibili solo a chi può permettersele.

Come si manifestano le disuguaglianze nell’accesso alla sanità in contesti locali?

Abbiamo dei dati che fanno pensare. Studi condotti a Glasgow all’inizio di questo millennio, hanno mostrato una differenza di 28 anni nell’aspettativa di vita tra un bambino nato nel quartiere più ricco (82 anni) e uno nato nel quartiere più povero (54 anni), distanti solo 7 miglia. A Torino, seguendo la linea del tram 3, che va dai quartieri ricchi a quelli poveri, è emersa una differenza di 4 anni nell’aspettativa di vita tra gli abitanti nati ai due capolinea. A Milano, le principali difficoltà nell’accesso al servizio sanitario sono di natura economica e culturale. Ciò dimostra come il sistema stia evolvendo verso una sanità per ricchi e una per poveri, dove la capacità di pagare determina l’accesso alle cure e, di conseguenza, l’aspettativa di vita.

Qual è il ruolo delle grandi aziende farmaceutiche e della privatizzazione nel sistema sanitario attuale?

Le grandi aziende farmaceutiche (Big Pharma) traggono enormi profitti da questo scenario. Hanno ammassato oltre 580 miliardi di euro in profitti in tutto il mondo negli ultimi cinque anni, la maggior parte dei quali depositati in paradisi fiscali, spesso all’interno dell’Unione Europea. A livello mondiale il costo elevato delle terapie oncologiche (fino a 100.000 euro) rende le cure inaccessibili a molti, se non tramite pagamenti diretti o assicurazioni. I brevetti sui farmaci e vaccini, che garantiscono alle multinazionali 20 anni di monopolio e la possibilità di stabilire i prezzi, contribuiscono a questa situazione. In Italia, la durata di alcuni brevetti correlati ai vaccini Covid è stata persino aumentata attraverso le decisioni dell’apposito ufficio, interno all’allora Ministero per lo Sviluppo Economico. In Italia la privatizzazione della sanità è in rapida crescita: il 28% dei ricoveri ospedalieri avviene in strutture private accreditate, e il 36,2% degli ambulatori pubblici sono privati accreditati. Il numero delle aziende sanitarie private con ricavi superiori ai 100 milioni è passato da 10 nel 2014 a 37 nel 2023, anno nel quale hanno raggiunto un fatturato superiore ai 12 miliardi di euro. Queste strutture private sono spesso controllate da grandi fondi finanziari (come Black Rock, Vanguard, State Street) che investono anche in armi e petrolio, vedendo la sanità semplicemente come un altro settore per generare profitti.

Quali sono le implicazioni dei tagli alla sanità pubblica per le fasce più deboli della popolazione e per l’accesso a servizi specifici?

I tagli alla sanità colpiscono in modo sproporzionato le fasce più deboli della popolazione. Si sono registrati 10.000 posti letto tagliati e 70 ospedali chiusi in 10 anni, ad esempio con forti riduzioni dei servizi per la pediatria e per i consultori.

Questo ha un impatto diretto su tutta la popolazione, il prezzo più pesante, ovviamente, lo pagano i più deboli a cominciare dai detenuti nelle carceri e nei CPR, dove la qualità dell’assistenza sanitaria e della vita è drasticamente compromessa, portando a un aumento dei suicidi. Un altro esempio riguarda i bambini con patologie come la DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento): la Lombardia e altre regioni, di fronte al ridotto numero di servizi pubblici, hanno deciso di affidare la cura di queste patologie,  meno gravi di altre, ad es. dell’autismo, a strutture private convenzionate, ma le famiglie devono pagare tra 400 e 700 euro per la certificazione necessaria per ottenere strumenti compensativi a scuola. Inoltre, per terapie come la logopedia o la fisioterapia, le liste d’attesa nel servizio pubblico possono arrivare a 3-4 anni, costringendo chi può a rivolgersi al privato a pagamento, creando ulteriore discriminazione nell’accesso a supporti fondamentali.