I titoli di coda scorrono ancora quando in sala si accendono le luci. Ci sono persone tra il pubblico visibilmente provate. Alcuni piangono. È appena terminata la proiezione di La Voce di Hind Rajab,il film della regista tunisina Kawtharibn Haniya acclamato a Venezia e premiato con il Leone d’Argento. Ieri la pellicola, uscita nelle sale il 25 settembre, è stata presentata a Torino al Cinema Centrale e al Fratelli Marx alla presenza di una delle attrici, Clara Khoury. Il film racconta le ultime ore di vita di Hind Rajab, bimba di sei anni uccisa il 29 gennaio del 2024 da un attacco israeliano a Gaza, attraverso gli audio autentici della sua telefonata agli operatori della Mezzaluna Rossa mentre è intrappolata in un’auto. Clara Khoury, palestinese, interpreta la parte della psicologa Nisreen.

Quanto è stato difficile recitare ascoltando la voce di Hind Rajab?

«È stato doppio l’approccio. Noi interpreti abbiamo ricevuto una sceneggiatura scritta come se fosse un documentario sulle registrazioni originali. Le prove le abbiamo fatte sulla trascrizione ma non avevamo sentito la registrazione. È stato scioccante e difficile per noi quando abbiamo iniziato le riprese perché solo lì abbiamo ascoltato la sua voce. Il pensiero era che non era una ricostruzione. Erano avvenimenti veri. Una bimba di sei anni che chiede aiuto. È stato difficilissimo dal punto di vista attoriale cercare di mantenere l’equilibrio tra la mia verità e la verità autentica. E per fare questo ho parlato molte ore con la psicologa che io interpreto e che mi ha raccontato quanto sia stato estremamente pesante per loro che lo hanno vissuto in prima persona».

Conosceva già la storia?

«Da subito, quando sono usciti i primi video sui social. Io ero a New York quando sono uscite le prime immagini. Ho avuto scambi con gli studenti che hanno fatto sit in e con cui ho parlato. Sono stata consapevole di questa terribile evento che mi ha colpito profondamente. Ho avuto difficoltà all’inizio perché non c’era possibilità di fare nulla. Sono una madre anch’io e la sensazione iniziale era quella di lutto non solo per il popolo ma per il fatto che come artista non sapevo cosa fare. Sei mesi dopo mi è arrivata la proposta di questo film e ho subito accettato».

A Venezia si aspettava questo successo?

«No, non me lo aspettavo. Siamo rimasti colpiti da quella lunga standing ovation che ci è stata tributata. Ci ha colpiti perché ci siamo resi conto di quanto le persone in realtà comprendessero quella sofferenza e ci ha dato speranza e potere perché i popoli hanno il potere di cambiare le cose».

Il film ha vinto il Leone d’Argento ma per molti doveva vincere il Leone d’Oro. Le è dispiaciuto?

«Ogni vittoria è una grande vittoria in sé».

Cosa si augura che dia questo film?

«Quello che spero è che questo film trasmetta al pubblico la consapevolezza e che spinga a porsi la domanda: “a che punto è l’umanità e la nostra umanità e che cosa si possa fare per ottenere giustizia e speranza?”»

A Torino, come in tutta Italia, ci sono state forti proteste a favore della Palestina. Da palestinese quanto l’hanno colpita?

«Mi ha toccato profondamente quello che ho saputo e visto. In Italia e Torino le persone sono come noi, sono profondamente umane e ci hanno riconosciuto in quanto esseri umani con il diritto di vivere. Sono pieni di passione per la vita. Quello che spero è che la forza di queste proteste possa portare a dei cambiamenti soprattutto per i governi per fare in modo che questo genocidio cessi».