Lo scorso martedì 22 settembre il dipartimento della Salute (HHS) degli Stati Uniti ha annunciato l’avvio di una revisione a livello nazionale sulla pillola abortiva (il mifepristone), con l’obiettivo di valutarne l’effettiva sicurezza e i rischi a lungo taciuti e sottostimati a carico della salute delle donne.

La revisione esaminerà i dati sugli eventi avversi delle circa 7,5 milioni di donne americane che hanno abortito con la RU486 da quando nel 2000 è stata approvata. Robert F. Kennedy Jr., segretario dell’HHS, e Martin Makary, commissario della Food and Drug Administration (FDA), hanno affermato che l’iniziativa segna un cambio di passo rispetto alle precedenti amministrazioni, le cui politiche hanno minimizzato le gravi complicazioni dell’aborto chimico.

Kennedy ha reso noto che «stiamo esaminando i nuovi dati che continuamente riceviamo e abbiamo visto che, in effetti, durante l’amministrazione Biden sono stati distorti i dati relativi ai rischi sulla sicurezza della pillola abortiva di una percentuale molto elevata, pari all’11%». Il segretario della Salute si riferisce in particolare allo studio dell’Ethics and Public Policy Center, del 28 aprile 2025. Non un mero studio clinico, ma una ricerca che ha preso in esame i dati reali delle richieste di rimborso alle assicurazioni USA, anche private, relative a 865.727 aborti con il mifepristone dal 2017 al 2023. Lo studio ha rilevato che in totale il 10,93% delle donne ha sperimentato eventi avversi gravi entro 45 giorni dall’aborto chimico, il che corrisponde a un tasso reale di complicazioni gravi almeno 22 volte più elevato rispetto a quello indicato sull’etichetta del mifepristone, inferiore allo 0,5%.

Di fatto, più di una donna su dieci che abortisce con la Ru486 incorre in complicazioni come infezione, sepsi, emorragia, necessità di trasfusione, gravidanza ectopica, necessità di ricovero in ospedale e altri eventi avversi pericolosi per la vita come eventi cardiaci e polmonari, trombosi, anafilassi e necessità di intervento chirurgico. Lo studio ha inoltre rilevato che 40.960 donne (il 4,73%) si sono recate al pronto soccorso per una visita correlata all’aborto e che 45.498 donne hanno avuto bisogno di completare l’aborto con un secondo aborto a causa del fallimento del primo aborto chimico, mentre quasi 7.000 donne hanno subito altri due tentativi di aborto dopo il primo. Questi dati mostrano che il tasso reale di fallimento del metodo chimico è del 5,26%, cioè il doppio di quanto riportato dall’Fda sull’etichetta del mifepristone (2,6-3,8%).

Kennedy e Makary hanno specificato che le attuali misure sulla pillola abortiva non mostrano «un’adeguata considerazione» per la sicurezza delle donne che «deve essere messa al primo posto». Pro Vita & Famiglia ha più volte denunciato la sottostima dei rischi per la salute correlati alla pillola abortiva. Così come ha fatto anche l’Osservatorio permanente sull’aborto (OPA), in particolare nel suo secondo Rapporto “Verso la privatizzazione dell’aborto”. Accogliamo perciò con soddisfazione la notizia di questa revisione a livello nazionale condotta su un campione enorme di donne e su dati reali, nella speranza che riuscirà finalmente a fare luce sull’impatto negativo che effettivamente ha l’aborto chimico per la salute delle donne.