Police abolition. Corso di base sull’abolizione della Polizia” edito da Momo editore (2025) è la traduzione italiana di una fanzine (pubblicazione indipendente a bassa tiratura) statunitense che cerca di mostrare come l’idea di abolire la polizia possa trasformarsi in “un orizzonte estremamente positivo e costruttivo per l’evoluzione di tutta società”. Lo fa grazie alle illustrazioni di Noah Jodice e a testi che cercano in primo luogo di rispondere alle domande che subito vengono in mente quando ci si ferma a pensare a come potrebbe essere una società senza forze dell’ordine: “Che cosa prenderà il posto della polizia?” e  “abolire la polizia creerà caos e crimine?”. Quello che emerge chiaramente è che sostenere l’abolizione della polizia non significa volerne l’eliminazione da un giorno all’altro ma credere in un processo di trasformazione a lungo termine verso un altro “modello di sicurezza, supporto e prevenzione basati sulla collettività”. Equivale quindi a pensare a un mondo nuovo.

Il contesto statunitense a cui fa riferimento questa pubblicazione è ovviamente differente da quello italiano. Negli Stati Uniti il pensiero abolizionista ha infatti ripreso vigore grazie al Black lives matter, movimento nato nel 2013 dopo l’assoluzione di George Zimmerman, il poliziotto che ha ucciso nel 2012 il diciassettenne afroamericano Trayvon Martin. In Italia questo libro è comunque un’opportunità per riflettere sul tema. Nell’edizione italiana, inoltre, la postfazione è curata da Italo di Sabato, esponente dell’Osservatorio repressione, e da Salvatore Palidda, docente di Sociologia all’Università di Genova che si è a lungo occupato di studiare il ruolo della polizia italiana. Insieme, cercano di contestualizzare l’idea nella specificità del nostro Paese attraverso dati e considerazioni sulle nostre forze dell’ordine. Parlano delle loro conclusioni con Altreconomia.

“Questo non è un banale libretto contro la polizia”, si legge nell’introduzione. Che cos’è allora? E perché è importante ragionare sulla polizia e sulle sue possibili trasformazioni?
IDS Questo non è un banale libricino contro la polizia ma è più che altro un tentativo di aprire un ragionamento nel nostro Paese cercando di rompere quella che ormai è la diffusione capillare di un’idea securitaria di società. Basti pensare che nell’ultimo decennio sono stati approvati quasi un decreto sicurezza all’anno e ogni volta c’è stata una nuova criminalizzazione e ridefinizione di chi sono i “nemici pubblici”. Crediamo dunque che la polizia oggi difenda non tanto l’ordine nella società ma un certo ordine e la sua società e per questo sono state criminalizzate una serie di figure sociali. C’è ad esempio ormai una guerra continua, non tanto alle cause della povertà, ma alle persone povere o a coloro che vivono in situazioni di disagio e di marginalità e dunque una maggiore repressione verso chiunque esprima conflittualità e dissenso nel nostro Paese. Quindi è anche un problema di concezione della democrazia.

SP Quando si tratta il tema della polizia e quindi della sicurezza, non si parla del singolo poliziotto ma dell’organizzazione politica della società che è da intendere non solo come sinonimo dello Stato ma anche di quelle che sono le relazioni sociali tra i singoli cittadini e coloro che hanno il potere, cioè le autorità sia locali sia nazionali. La prova del fatto che le polizie oggi in molti casi non difendano la maggioranza della popolazione, le troviamo quando andiamo a studiare quelle che noi chiamiamo le “insicurezze ignorate”. Ad esempio è il caso del super sfruttamento delle persone migranti ma anche di tanti italiani -che oggi sono i nuovi schiavi- che difficilmente viene perseguito o di chi provoca disastri o crimini ecologici che spesso rimangono impuniti.

In Italia non c’è mai stato un vero e proprio movimento abolizionista come invece negli Stati Uniti, scrivete nel libro, eppure alla fine degli Sessanta si è parlato molto di disarmo fino alla riforma del 1981. Che cosa è successo?
SP Come evidenziano diversi ricercatori e studiosi del Black lives matter, i movimenti di riforma dagli anni Sessanta in poi sono stati oggetto di un enorme tradimento: alla fine non si è stato cambiato nulla. In Italia questi hanno portato alla grande riforma della polizia del 1981. Tuttavia, se andiamo a leggere attentamente ogni suo articolo, non è prevista nessuna garanzia che la polizia sia veramente al servizio del cittadino, ma c’è scritto invece che deve essere al servizio della sicurezza. La cosiddetta democratizzazione delle polizie in Italia non è quindi mai avvenuta. Anzi in questi ultimi 40 anni in realtà si è accentuata l’impunità degli operatori di polizia che commettono reati e la riforma del 1981 purtroppo non ha garantito nessuna istituzione indipendente per il controllo del loro operato. In molti Stati come in Francia e in Inghilterra, quantomeno formalmente, esiste, in Italia no. Inoltre dopo venti anni di ricerca empirica ho rilevato che dopo la tragedia del G8 di Genova del 2001 c’è stato un aumento esponenziale delle brutalità, delle torture e dei morti ammazzati in mano allo Stato. Questi casi avvengono soprattutto nelle carceri, ma anche nei commissariati di polizia o addirittura a livello locale. Quali sono i meccanismi che garantiscono l’impunità? In realtà l’articolo 8 del decreto del presidente della Repubblica 737/1981 prevedeva il licenziamento automatico a seguito di una specifica condanna penale. Tuttavia, nel 1993 una sentenza della Corte costituzionale ha stabilito che quella norma non fosse valida, lasciando questa decisione alla discrezionalità di una commissione interna alle forze di polizia che regolarmente difende a spada tratta gli operatori coinvolti. Un caso clamoroso è quello di Federico Aldrovandi, assassinato come George Floyd, i cui responsabili dell’omicidio sono stati reintegrati e hanno scontato pene lievi. Poi c’è il caso noto a tutti dei “De Gennaro boys” (Giovanni De Gennaro era il capo della polizia ai tempi del G8 di Genova, ndr), così come li chiama Marco Preve nel suo libro “Il partito della polizia” (Chiarelettere, 2014). Nonostante la condanna per i fatti della Diaz anche da parte della Corte europea per i diritti umani, non solo non sono stati rimossi ma tutti addirittura sono stati promossi.

IDS La riforma del 1981 non ha portato a quello che si auspicava, anzi ha prodotto anche effetti abbastanza dannosi perché si è verificata un’accelerazione della corporativizzazione della polizia, ovvero l’affermarsi di uno “spirito di gruppo” che garantisce l’impunità per qualsiasi forma di azione al di fuori delle regole. Inoltre oggi l’Italia è uno dei Paesi europei che presenta il maggior numero di forze dell’ordine: c’è la polizia di stato, i carabinieri, la guardia di finanza, la polizia penitenziaria e a queste si sono aggiunte anche le polizie locali, che ormai non sono più i vigili urbani così come li conoscevamo ma una polizia a tutti gli effetti. Anche un corpo che era deputato a fare prevenzione sul territorio, ovvero la guardia forestale, è stato militarizzato e immesso in quello dei carabinieri. Quindi c’è un tentativo quotidiano di ulteriore militarizzazione dei corpi di polizia che ha come conseguenza una militarizzazione dei nostri quartieri, delle nostre città, dove vediamo una forte presenza delle forze dell’ordine che stride poi con quella che è la narrazione di determinati organi di stampa secondo cui manca il personale di polizia o si spende poco per la sicurezza. Basta consultare i dati dell’Osservatorio italiano sui conti pubblici dell’Università Cattolica secondo cui in Italia nel 2024 ci sarebbero in media 415 agenti ogni 100mila abitanti, molto più della media europea e di Paesi come la Germania, Spagna e Francia. Il nostro Paese è anche tra quelli che spende di più per il personale di polizia in Europa. Il libro ha dunque tentato di portare a conoscenza determinati dati che non vengono resi noti perché non fa comodo alla politica.

Qual è quindi la vostra idea per il futuro?
IDS L’abolizione della polizia oggi è un auspicio, un desiderio, qualcosa che possiamo paragonare a quello che fece Basaglia negli anni Cinquanta quando parlò di chiusura dei manicomi e venne preso per matto. Questa idea parte dalla concezione di un altro modello di società che si basa non sulla sicurezza ma sulla cura. Per pensare a questo tipo di società c’è bisogno anche di interventi finanziari. Quindi uno dei primi passi per arrivare a quello che oggi possiamo chiamare un sogno, un’utopia, è quello di cominciare a pensare di definanziare la sicurezza e di investire in spese sociali che servono per migliorare profondamente la qualità di vita delle nostre città.

SP I fondi che sono oggi destinati alle polizie potrebbero essere usati per aumentare le risorse a disposizione dei servizi sociali e soprattutto sanitari. Quando andiamo a studiare le cause per cui le persone sono oggi in carcere, il 99% dovrebbe essere affidato ai servizi sanitari e sociali, come chi è affetto da disagio psichico o i tossicodipendenti, oltre alle persone povere o senza dimora. Noi sosteniamo, l’abbiamo scritto nel libro, che le polizie dovrebbero essere ridotte a poche unità specializzate prima di tutto nella lotta contro i reati contro i beni pubblici e contro l’amministrazione pubblica, alle mafie e per la tutela effettiva dell’ecosistema. Non bisogna quindi pensare che lanciare lo slogan “abolire le polizie” non abbia senso o sia qualcosa di utopico che non serve a niente. Al contrario è necessario ribadirlo perché aiuta a riflettere sulla necessità di un ripensamento veramente democratico del governo della sicurezza e del contrasto dei disagi e della gestione dei problemi sociali e soprattutto nella effettiva prevenzione di ogni insicurezza.

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