A un certo punto di Duse, il bel film di Pietro Marcello in questi giorni al cinema, c’è una scena che riassume efficacemente il rapporto viscerale ma caotico, sempre un po’ improvvisato, diciamo infantile, che hanno gli italiani con l’arte. La compagnia di Eleonora Duse è a cena, a festeggiare una prima molto applaudita, quando arriva, ammutolendo tutti, Sarah Bernhardt, che era nel pubblico. In quel momento storico (siamo tra il 1917 e l’inizio degli anni Venti), Duse e Bernhardt sono da tempo le più grandi attrici d’Europa, forse del mondo: se l’una è chiamata “la divina”, l’altra è “la voce d’oro” (e, spesso, “la divina” pure lei: c’è da dire che “la divina” è un soprannome molto banale). Insomma, in questa scena le due divine, l’italiana e la francese, si parlano, si annusano, si fanno reciproci complimenti, finché Bernhardt sgancia la bomba: lo spettacolo non è male, di sicuro ben recitato, ma vecchio, poco engagé. Come fa Eleonora Duse, si chiede Bernhardt, a non rendersi conto della propria influenza, del proprio potere mediatico?; come può non voler fare qualcosa per l’Italia, attraverso il teatro?