Una campagna pubblicitaria del marchio Guess sulle pagine dell’edizione americana della celebre rivista ha per protagonista una modella creata al computer. Un punto di svolta che accende il dibattito su standard di bellezza, posti di lavoro e futuro della creatività
Sfogliando distrattamente le pagine pubblicitarie del numero di agosto di Vogue, edizione americana, non è semplice notare qualcosa di strano. A un certo punto compare una modella bionda, fisico slanciato, capelli vaporosi biondi e mascella scolpita. Indossa un abito a righe (in altre foto compare con un prendisole floreale) per una campagna pubblicitaria del marchio Guess. Un occhio attento però può notare una minuscola didascalia in un angolo della pagina, strategicamente nascosta, per di più, vicino alla piega della rivista: «Produced by Seraphinne Vallora on AI», si legge. La modella non è un essere umano: è un’immagine generata dall’intelligenza artificiale. Di «AI Model» abbiamo scritto più volte in passato. Alcune sono diventate delle presenze molto seguite sui social e generano ritorni economici interessanti per chi le ha create e le gestisce. Ma la prima uscita pubblica di una modella virtuale sulla «bibbia della moda» sembra segnare un punto di svolta e, come comprensibile, ha scatenato un acceso dibattito online.
A dirla tutta, non si tratta in assoluto della prima incursione dell’AI su Vogue, visto che qualcuno ricorda come l’edizione portoghese del magazine avesse dedicato una copertina, interamente generata dai software, già nel giugno 2024. E di come Vogue Italia avesse sfruttato l’AI italiana per creare gli sfondi di un servizio con Bella Hadid nel 2023, molto ben dichiarato però. Il contesto stavolta però è diverso e più significativo: un grande marchio internazionale ha scelto consapevolmente l’AI per una campagna pubblicitaria globale, destinata a finire non soltanto sulla carta stampata ma anche nelle vetrine dei negozi. Una prima volta che di fatto sdogana le modelle virtuali in uno degli spazi più ambiti e influenti della fashion industry.
Chi ha creato la campagna
Dietro questa creazione c’è Seraphinne Vallora. Non è il nome di una persona, bensì di un’agenzia fondata due anni fa da Valentina Gonzalez e Andreea Petrescu, entrambe giovani (25 anni) architette di formazione. La loro avventura è iniziata per necessità: volevano lanciare un marchio di gioielli e, non potendo permettersi i costi di una campagna tradizionale, hanno deciso di sfruttare le loro competenze di design per creare delle modelle virtuali. Il successo è stato immediato. Notate su Instagram, dove oggi contano oltre 220.000 follower, sono state contattate direttamente da Paul Marciano, co-fondatore di Guess. «Paul è un pioniere – ha spiegato Petrescu alla Bbc -. Non cerca di sostituire le modelle, ma di integrare. Le campagne tradizionali richiedono tempi lunghissimi. Con l’AI è tutto più veloce: non servono viaggi, permessi, né grandi set». Le stesse motivazioni della «fotografia virtuale», come nel maxi-studio italiano che abbiamo visitato.
Come nasce quell’immagine
Il processo tecnico per arrivare a produrre una campagna per un brand come Guess è molto più complesso dell’andare su ChatGpt e digitare un prompt. Il lavoro può richiedere fino a un mese e costare a un cliente come Guess una cifra «nella parte bassa delle sei cifre» (quindi probabilmente fra 100 e 3-400 mila euro). Si parte da una «moodboard» (una raccolta visiva di immagini, testi, campioni di colore e materiali che serve a comunicare e definire l’atmosfera e lo stile di un progetto) e da briefing creativi. Si definiscono l’etnia, il colore degli occhi, l’acconciatura e ogni altro dettaglio. A volte, spiegano ancora le fondatrici di Seraphinne Vallora a Bbc, l’agenzia si avvale di modelle e fotografi reali per studiare pose e angolazioni della luce, prima di tradurre il tutto in un’immagine digitale. «È come per la fotografia – afferma Valentina Gonzalez -. Dare una macchina fotografica a una persona qualsiasi non la rende un fotografo».
Le critiche
Le critiche, tuttavia, sono state immediate e feroci. La prima riguarda gli standard di bellezza. La modella di Guess è la quintessenza di un ideale irraggiungibile: giovane, magra (ma non priva di curve), simmetrica. Per molti, questo non fa che esacerbare un problema già esistente. La modella plus-size Felicity Hayward, citata da Bbc, ha definito l’operazione «un calcio nei denti» dopo anni di lotte per una maggiore inclusività nel settore. Le fondatrici di Seraphinne Vallora replicano di allinearsi semplicemente agli standard dominanti, e non certo da ora, nelle riviste di moda. Ammettono di aver provato a pubblicare immagini più variegate sul loro profilo Instagram, ma che «il pubblico non risponde, non ottengono “like”». Aggiungono anche che la tecnologia attuale «non è ancora abbastanza avanzata» per creare modelle plus-size realistiche.
D’altronde, il fatto che i modelli AI riproducano i modelli di corpo, femminili o maschili, capaci di generare più like e con più visibilità sui social, è un dato di fatto già accertato da diverse ricerche. Così come sono preoccupanti le ricadute, soprattutto sugli adolescenti, dell’effetto eco di questo tipo di corpi, moltiplicati all’infinito e definiti sostanzialmente come unico standard cui aspirare.
L’impatto sui lavoratori del settore
Il secondo fronte di critiche riguarda l’impatto sul mondo del lavoro. Sara Ziff, fondatrice della Model Alliance, che tutela i diritti dei lavoratori della moda, vede in questa scelta «meno innovazione e più un disperato tentativo di tagliare i costi». Il timore è che l’AI non minacci solo le modelle, ma un intero ecosistema di fotografi, truccatori, parrucchieri e tecnici.
Infine, c’è una questione di trasparenza. La dicitura sull’annuncio di Guess è quasi invisibile: molti si chiedono se non debba essere obbligatorio segnalare in modo più evidente i contenuti generati artificialmente. E infine è anche questione di «anima»: diversi commentatori sui social se la prendono con una moda creata senza passione, senza storia e, letteralmente, senza l’unicità di un essere umano. L’inclusione dell’annuncio nelle pagine di Vogue America, pur non essendo una scelta editoriale diretta, è vista come una legittimazione: come dice l’imprenditrice tech ed ex modella Sinead Bovell, la rivista è «la corte suprema della moda», e la sua decisione «sancisce che questa pratica è accettabile».
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28 luglio 2025 ( modifica il 28 luglio 2025 | 15:00)
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