In Italia pochi pagano per molti. Il 72,59% degli italiani dichiara redditi fino a 29mila euro, corrispondendo solo il 23,13% di tutta l’IRPEF, un’imposta neppure sufficiente a coprire sanità, assistenza sociale e istruzione. I numeri raccontano la realtà di un sistema fiscale fortemente sbilanciato, dove il peso dell’IRPEF grava su una minoranza di contribuenti mentre la maggioranza beneficia dei servizi pubblici senza contribuirvi in maniera proporzionale.
È questo il quadro fiscale italiano che emerge dall’Osservatorio sulle dichiarazioni dei redditi realizzato dal Centro Studi Itinerari Previdenziali con il sostegno di CIDA, scostandosi dalla narrazione comune di un Paese asfissiato dalle tasse.
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Il 72,59% degli italiani dichiara redditi fino a 29mila euro l’anno e versa soltanto il 23,13% del gettito IRPEF complessivo, una somma insufficiente persino a coprire le tre principali voci del welfare: sanità, assistenza e istruzione. Al contrario, il 27,41% dei contribuenti sostiene oltre il 76% dell’intera imposta sul reddito, con un’ulteriore concentrazione nei redditi alti, dato che il solo 5,82% dei contribuenti con redditi sopra i 55mila euro si fa carico del 40,31% dell’IRPEF.
Secondo l’analisi, su quasi 59 milioni di residenti, solo 33,5 milioni versano almeno un euro di IRPEF. Oltre 1,18 milioni di persone dichiarano reddito nullo o negativo, mentre il 43,15% della popolazione risulta completamente privo di reddito e dunque a carico di altri. Le fasce più basse, fino a 15mila euro lordi, si traducono in un’imposta media annua per abitante tra i 19 e i 214 euro, a fronte di una spesa sanitaria pro capite che supera i 2.200 euro. Complessivamente, 22,4 milioni di abitanti versano un’IRPEF media annua di circa 100 euro, beneficiando però pienamente dei servizi pubblici.
Come vengono usate le imposte dirette
La redistribuzione fiscale, stando al report, assume proporzioni enormi dal momento che oltre 233 miliardi, pari all’80,56% di tutte le imposte dirette, vengono trasferiti verso le fasce meno abbienti. Si tratta di un trasferimento sistematico di ricchezza a favore di un’ampia fetta di cittadini, spesso inconsapevoli del reale valore dei servizi ricevuti. La tenuta del sistema, secondo l’Osservatorio, è resa sempre più difficile dal costante aumento della spesa per il welfare. Solo nel 2023 sono stati necessari 131,119 miliardi per la spesa sanitaria, oltre 164 per l’assistenza sociale e altri circa 13,4 miliardi per il welfare degli enti locali. Un conto totale da oltre 300 miliardi che, in assenza di tasse di scopo (come, ad esempio, accade per le pensioni che sono in attivo al netto dell’IRPEF), viene finanziato attingendo fiscalità generale: a queste sole 3 voci di spesa sono state dunque destinate nell’ultimo anno di rilevazione pressoché tutte le imposte dirette IRPEF, addizionali, IRES, IRAP e ISOST e anche 32,8 miliardi di imposte indirette, in primis l’IVA.
Il divario tra aumento dei redditi e spesa per il welfare
Negli ultimi 16 anni i redditi dichiarati sono aumentati del 28,46%, mentre la spesa per il welfare è cresciuta del 45%, trainata soprattutto da quella assistenziale. Mentre il PIL e l’occupazione migliorano, il carico fiscale continua a pesare in maniera sproporzionata su un ceto medio in via di erosione, che sostiene un welfare sempre più costoso e universale, ma da cui è spesso escluso nei benefici accessori, come bonus e agevolazioni.
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